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Stipendi d’Italia, una piramide che non si muove

- di: Jole Rosati
 
Stipendi d’Italia, una piramide che non si muove
Stipendi d’Italia, una piramide che non si muove
Dai 14 mila euro degli apprendisti ai 160 mila dei dirigenti: i nuovi dati Inps sulle retribuzioni 2024 raccontano un Paese che lavora di più, ma resta inchiodato a una scala salariale ripida, con gradini altissimi tra chi sta in basso e chi occupa i piani alti.

La fotografia più nitida dell’Italia che lavora nel 2024 non è un grafico sull’occupazione, ma una piramide di stipendi. Alla base ci sono apprendisti e operai, stretti fra retribuzioni annuali intorno ai 15 e ai 18 mila euro. Al centro si allarga il gruppo degli impiegati, sopra i 27 mila euro. In cima, staccati di molte lunghezze, quadri e dirigenti che viaggiano fra oltre 70 mila e più di 160 mila euro l’anno.

Non è solo una differenza di reddito: è la mappa di gerarchie sociali ed economiche che restano poco permeabili. I nuovi numeri Inps sulle retribuzioni medie, costruiti sul monte salari di chi ha avuto almeno una giornata retribuita nell’anno, mostrano un mercato del lavoro che cresce in quantità ma che continua a distribuire valore in modo fortemente verticale.

Stipendi Inps 2024, come funziona la fotografia

Per capire questa piramide bisogna partire dal metodo. La retribuzione media annua considerata dall’Inps è l’imponibile previdenziale: in pratica, tutto ciò su cui si pagano i contributi, comprese le quote a carico del lavoratore. Restano fuori le prestazioni a carico dell’istituto, come cassa integrazione, malattia o maternità. Il totale delle retribuzioni viene diviso per il numero di lavoratori che, nell’anno, hanno avuto almeno una giornata pagata.

Nel 2024 i dipendenti del settore privato non agricolo con almeno una giornata retribuita hanno raggiunto circa 17,7 milioni di persone, con una crescita di circa il 2% rispetto al 2023. La retribuzione media annua si è attestata attorno ai 24.500 euro lordi, in aumento di poco più del 3%. Numeri che, presi da soli, sembrerebbero raccontare una storia moderatamente positiva.

Ma è quando si scende nel dettaglio per qualifica professionale che la fotografia cambia completamente e le distanze si allungano.

Apprendisti e operai: il piano terra della piramide salariale

Alla base della scala ci sono gli apprendisti, la porta d’ingresso al lavoro dipendente per molti giovani. La loro retribuzione media annua si ferma intorno ai 14.600 euro lordi. Una cifra che, trasformata in mensile, significa poco più di 1.200 euro lordi in un anno pieno di lavoro, e spesso meno, perché i contratti non coprono tutti i dodici mesi.

Subito sopra, ma non di molto, troviamo gli operai, con circa 18.200 euro annui. Si tratta del cuore produttivo del Paese: milioni di persone che reggono l’industria, la logistica, i servizi essenziali. La loro massa numerica è enorme, ma il gradino salariale resta basso, soprattutto se rapportato al costo della vita nelle grandi aree urbane.

“Chi entra oggi nel mercato del lavoro come apprendista o operaio parte da un gradino così basso che, anche con una carriera regolare, ci mette anni ad avvicinarsi a una retribuzione considerata sufficiente per costruirsi un futuro autonomo”, osserva un economista del lavoro interpellato sul rapporto fra salari e mobilità sociale.

Impiegati: il primo gradino della sicurezza economica

Il primo vero salto arriva con gli impiegati. Qui la retribuzione media annua sale intorno ai 27.800 euro. È la soglia che, in molte aree del Paese, consente una relativa stabilità: affitto o mutuo gestibili, qualche margine di risparmio, la possibilità di programmare spese extra. Non a caso, è spesso percepita come la prima tappa della “buona occupazione”.

Al di sopra degli impiegati c’è una fascia molto composita, indicata nelle statistiche come “altro” e collocata attorno ai 34.000 euro lordi. È il territorio intermedio di chi ha responsabilità specifiche o competenze tecniche elevate, ma non ancora il ruolo formale di quadro o dirigente.

È in questa zona centrale che la piramide italiana è più larga: tanti lavoratori, retribuzioni medie non basse ma lontane anni luce dai livelli della fascia alta.

Quadri e dirigenti: il vertice lontano della piramide

Dalla metà della classifica in su il panorama si capovolge. I quadri superano i 72.000 euro annui medi, mentre i dirigenti si spingono oltre i 163.000 euro l’anno. In termini relativi, un dirigente guadagna in media quanto nove operai o più di undici apprendisti. È un’altra dimensione di reddito e di vita.

“Una struttura salariale così sbilanciata non è solo un tema di equità, ma anche di efficienza”, sottolinea un consulente esperto di relazioni industriali. “Se il salto fra un livello e l’altro è troppo alto, molti lavoratori smettono di percepire la carriera come un percorso realistico e la motivazione si erode”.

La piramide italiana è stretta alla base, larghissima al centro e molto concentrata in alto. Gli addetti operai rappresentano ancora più della metà dei dipendenti, gli impiegati oltre un terzo, mentre quadri e dirigenti sono una minoranza numericamente ridotta ma economicamente determinante.

Intermittenti e somministrati: occupati, ma senza rete

I dati sulle retribuzioni medie acquistano un altro significato se si guarda alla continuità del lavoro. Non tutti, infatti, lavorano per l’intero anno. Il 2024 registra un forte incremento dei contratti intermittenti: circa 758.700 persone, in aumento di quasi il 5% rispetto all’anno precedente.

Questi lavoratori accumulano in media 48 giornate retribuite all’anno e portano a casa appena 2.648 euro. Più della metà è concentrata in settori come turismo, ristorazione e servizi alla persona, dove la stagionalità è la regola. È il gradino più basso della stabilità: formalmente “occupati”, ma con redditi che assomigliano a una lunga serie di lavoretti.

A questi si affiancano i lavoratori in somministrazione, circa 915.000 persone nel 2024, con un lieve calo rispetto al 2023. La retribuzione media annua si aggira sui 10.500 euro, con circa 133 giornate lavorate. Quasi il 70% di loro è impiegato al Nord, dove industria e logistica cercano manodopera flessibile ma stabile nel tempo.

“Intermittenti e somministrati sono il cuscinetto che assorbe gli sbalzi della domanda, ma pagano in prima persona il prezzo dell’incertezza”, commenta un dirigente sindacale del settore servizi. “Chi vive di contratti a singhiozzo resta lontano dalla soglia di reddito di un impiegato stabile e non riesce a pianificare nulla”.

Agricoltura, la terza Italia del lavoro

C’è poi un’altra faccia del mercato del lavoro: quella agricola. Nel 2024 gli operai agricoli dipendenti hanno superato quota 1.019.000 lavoratori, con una crescita di circa il 2,4% su base annua. L’aumento è particolarmente forte al Nord e al Centro, con picchi in regioni come Veneto e Lazio.

Parallelamente, però, il settore perde imprese: le aziende agricole attive scendono di poco più dell’1%. Meno soggetti, ma più grandi e strutturati. Gli autonomi agricoli – coltivatori diretti, coloni, mezzadri – calano a circa 414.000, frenati dai pensionamenti e da un ricambio generazionale che stenta a decollare.

In agricoltura, come altrove, la scala salariale segue la stabilità dei rapporti: chi ha contratti più lunghi e qualifiche più alte si avvicina alle fasce retributive centrali, chi vive di stagioni e giornate sparse resta nel fondo della piramide.

Divari territoriali e di genere che non si chiudono

La piramide degli stipendi è anche una mappa geografica. La concentrazione dei dipendenti resta più alta al Nord, dove si sommano occupazione industriale, servizi avanzati e retribuzioni mediamente più elevate. Nel Nord-ovest le retribuzioni medie annue superano i 28.000 euro, nel Nord-est restano sopra i 25.000 euro, livelli difficili da raggiungere in molte regioni del Centro e del Mezzogiorno.

A tutto questo si affianca un gender pay gap ancora significativo. I lavoratori uomini guadagnano in media quasi 28.000 euro lordi all’anno, le lavoratrici meno di 20.000 euro. Una differenza che sfiora il 30% e che si somma ai divari di carriera: le posizioni da quadro e dirigente restano ancora oggi prevalentemente maschili.

“Le donne sono sovrarappresentate nelle fasce basse della piramide, nei contratti part time e nelle forme di lavoro più discontinue”, nota una giuslavorista che studia da anni l’evoluzione del mercato del lavoro. “Se non si interviene su carichi di cura, servizi e progressioni di carriera, la distanza retributiva resterà strutturale”.

Un Paese che lavora di più, ma resta diviso in gradoni

Mettendo tutto insieme, il messaggio di questi dati è chiaro: l’Italia nel 2024 lavora di più, ma non lavora allo stesso modo per tutti. Gli occupati crescono, le retribuzioni medie si muovono al rialzo, ma la distribuzione resta diseguale. In basso, apprendisti, operai e lavoratori intermittenti si muovono in uno spazio stretto; al centro, impiegati e figure intermedie; in alto, una minoranza di quadri e dirigenti che, da sola, assorbe una quota molto ampia del reddito da lavoro dipendente.

Il rischio è che la scala non sia solo ripida, ma anche poco percorribile. Se i salti fra un gradino e l’altro restano così ampi, la mobilità sociale si blocca e le differenze diventano strutturali, quasi ereditarie: i figli di chi sta in alto partono già un passo avanti, quelli di chi sta in basso fanno fatica a raggiungere anche solo il centro.

Cosa servirebbe per accorciare le distanze

Ridurre questa verticalità non è semplice, ma le possibili leve sono chiare. Da un lato, rafforzare i salari di ingresso e i percorsi di apprendistato, legandoli di più alle competenze effettivamente acquisite e alla qualità della formazione. Dall’altro, intervenire sulla stabilità dei rapporti, con regole che scoraggino l’abuso di contratti intermittenti e somministrati come forma ordinaria di impiego.

Un capitolo decisivo riguarda la contrattazione, sia nazionale sia aziendale. Una distribuzione più equilibrata dei risultati economici – premi di produttività, bonus, welfare – può contribuire a ridurre le distanze fra chi sta alla base e chi occupa i piani intermedi. Sul versante del gender pay gap, servono trasparenza retributiva, sistemi di valutazione delle carriere meno opachi e servizi che liberino tempo e energie delle lavoratrici.

“Non esiste una bacchetta magica, ma esiste una direzione”, sintetizza un esperto di politiche del lavoro. “Se continuiamo a guardare solo al numero degli occupati senza chiederci quanto e come vengono pagati, la piramide degli stipendi resterà la stessa anche fra dieci anni”.

Per ora, la nuova classifica Inps delle retribuzioni in Italia mette in fila numeri difficili da ignorare. Il lavoro c’è, ma è distribuito su gradoni sempre più distanti. E la vera sfida per i prossimi anni sarà proprio questa: trasformare una scala verticale in un percorso che non sia una corsa a ostacoli per la maggioranza dei lavoratori.

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