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Trump in calo nei sondaggi: prezzi, dazi e sanità lo mordono

- di: Vittorio Massi
 
Trump in calo nei sondaggi: prezzi, dazi e sanità lo mordono
Trump in calo nei sondaggi: prezzi, dazi e sanità lo mordono

Dalla spesa al supermercato all’albero di Natale “made in China”, fino alla stangata dei premi sanitari 2026: l’economia che doveva essere il suo megafono rischia di diventare il suo megafono… al contrario.

Donald Trump resta un animale da palcoscenico globale: annuncia programmi, minaccia tariffe, rilancia l’agenda industriale e mette il timbro su ogni dossier che faccia rumore. Ma a casa, nel salotto americano dove contano bollette, carrello della spesa e assicurazioni, la musica è meno trionfale. E i numeri – quelli dei sondaggi e quelli dei prezzi – stanno raccontando una storia scomoda: la pazienza degli elettori, soprattutto sul costo della vita, non è infinita.

La fotografia più citata in queste settimane arriva da un sondaggio AP-NORC diffuso a dicembre: la valutazione di Trump sull’economia scende al 31%, il punto più basso della serie, e l’approvazione complessiva si attesta al 36%. Il dato è ancora più interessante perché riguarda proprio i due terreni su cui Trump ha costruito gran parte del suo racconto politico: economia e immigrazione.

Anche Reuters/Ipsos, in un rilevamento di metà novembre, ha registrato un calo dell’approvazione al 38%, con il costo della vita tra le principali spine nel fianco. Nelle rilevazioni più recenti citate da Reuters, l’approvazione generale risale intorno al 41%, ma la valutazione specifica sul caro-vita resta inchiodata: 31%. Traduzione: l’immagine del leader può anche recuperare, ma il portafoglio dell’elettore non si “convince” con un discorso.

Inflazione: il numero scende, la percezione no

Qui sta il cuore del paradosso. L’inflazione, quella misurata, non è un incendio fuori controllo come nei picchi post-pandemia. Per esempio, il CPI (indice dei prezzi al consumo) su base annua risultava al 3,0% a settembre 2025 (dato BLS). Ma il punto politico non è solo “quanto cresce” l’indice: è da dove partono i prezzi e cosa succede alle voci quotidiane – affitti, servizi, sanità, alimentari.

In più c’è l’effetto psicologico: quando i prezzi salgono velocemente, poi anche se rallentano restano alti. Per molti americani è la differenza tra “inflazione che cala” e “spesa che non torna indietro”. E infatti, nelle interviste raccolte da Reuters tra elettori di Trump, emerge un sentimento doppio: fastidio per i rincari, ma spesso anche resistenza ad attribuire tutta la colpa al presidente. È un equilibrio instabile, perché può reggere finché l’elettore spera che “prima o poi” i prezzi mollino. Se quella speranza si sgonfia, la fedeltà politica perde un pilastro.

A complicare il quadro c’è la fase monetaria: la Federal Reserve è tornata a tagliare i tassi (e il tema inflazione resta divisivo, anche dentro l’istituzione). In parallelo, indicatori “in tempo reale” come il nowcasting della Cleveland Fed hanno continuato a segnalare variazioni mensili non trascurabili nel cuore dell’autunno e a inizio inverno 2025. Non è un bollettino apocalittico, ma non è nemmeno una strada in discesa libera.

Dazi: quando la geopolitica finisce nello scontrino

I dazi sono l’arma simbolo di Trump: proteggere l’industria nazionale, colpire la concorrenza estera, “riportare a casa” filiere e investimenti. Ma la politica commerciale ha un lato B molto pratico: parte del costo tende a scaricarsi sui consumatori, soprattutto quando si colpiscono beni di largo consumo o componenti difficili da sostituire nel breve periodo.

Un tracker del Tax Policy Center aggiornato l’11 dicembre 2025 descrive un aumento dell’aliquota media sui beni importati e avverte che, se tutte le misure annunciate entrassero in pieno regime, l’incidenza potrebbe crescere ulteriormente. Il messaggio, in soldoni, è che la “guerra dei dazi” non vive in astratto: si appoggia su catene logistiche e listini.

Lo si vede bene in un oggetto che negli Stati Uniti è più che decorazione: è rituale, identità, tradizione. L’albero di Natale. Sì, proprio lui. In varie ricostruzioni di stampa economica e locale statunitense, l’aumento dei prezzi degli alberi artificiali viene collegato al peso delle tariffe su importazioni a forte dipendenza dalla Cina. Alcune stime riportate in queste analisi sostengono che la stragrande maggioranza degli alberi artificiali venduti negli USA sia prodotta in Cina, e che proprio qui i dazi “mordano” di più.

È un caso perfetto perché rende visibile ciò che di solito resta invisibile: una misura pensata per la manifattura diventa un rincaro percepito in un acquisto stagionale, emotivo, di massa. Quando l’economia arriva sul tavolo del soggiorno (letteralmente, vicino ai pacchi regalo), la narrazione politica perde protezioni.

Sanità: il 2026 rischia di essere l’anno della stangata

Se i prezzi al supermercato sono la seccatura quotidiana, la sanità è la paura lunga: quella che ti prende allo stomaco quando fai i conti. Ed è qui che la politica rischia una collisione frontale con i numeri: a fine 2025 scadono le enhanced premium tax credits dell’Affordable Care Act (ACA), i sussidi rafforzati che negli ultimi anni hanno contenuto l’esborso mensile per milioni di persone iscritte ai piani Marketplace.

Secondo un’analisi KFF pubblicata il 30 settembre 2025, se i sussidi rafforzati non venissero prorogati, i pagamenti dei premi potrebbero più che raddoppiare in media nel 2026 (stima: +114%), passando indicativamente da una media di 888 dollari nel 2025 a circa 1.904 nel 2026. In un’intervista rilanciata da CBS News, un’analista di KFF ha parlato di “peso enorme” per le famiglie: è la frase che spiega perché questo tema, in America, non è mai solo tecnico.

La politica, intanto, resta un campo minato. L’11 dicembre 2025 Axios ha raccontato del fallimento al Senato di proposte contrapposte per intervenire sui sussidi: un segnale di stallo che rende più concreto lo scenario di aumento dei costi. Sul fronte Casa Bianca, Reuters a fine novembre ha riferito che l’amministrazione stava lavorando a un quadro che includeva l’ipotesi di estensione dei sussidi, ma il dibattito si intreccia con paletti, platee e coperture finanziarie: il classico posto dove Washington riesce a complicare anche una cosa semplice.

Ed è qui che la popolarità si gioca a colpi di storie individuali: coppie di cinquantenni o sessantenni con redditi medi, che scoprono di dover scegliere tra premio assicurativo e altre spese essenziali. La sanità non è un grafico: è una telefonata, una fattura, una rinuncia. E quando l’elettore sente di dover “pagare di più per lo stesso”, la rabbia politica si accende.

Il fattore “attesa”: anche Trump ammette il rischio tempo

C’è un’altra variabile che i sondaggi non misurano direttamente ma che decide molto: quanto tempo l’elettore è disposto ad aspettare. Il 14 dicembre 2025 Reuters ha riportato dichiarazioni attribuite a Trump in cui riconosce l’incertezza sul momento in cui gli effetti della sua agenda economica saranno davvero percepiti e se arriveranno in tempo per aiutare i repubblicani alle midterm del 2026.

È un’ammissione politica rara: non “se funziona”, ma “quando si sente”. E nel frattempo, per tentare di smussare il lato più impopolare del protezionismo, Reuters riferisce anche di un ripensamento su tariffe legate a prodotti alimentari: segnale che la pressione sul tema prezzi non è solo mediatica, è elettorale.

La “Gold card” e il contrasto: super-visti per ricchi, ansia per i conti

Mentre gli americani fanno i conti con l’affordability, Trump ha rilanciato iniziative ad alto impatto simbolico come la “gold card”, un programma che offre un percorso accelerato di residenza (e prospettiva di cittadinanza) a fronte di un pagamento elevato. AP ha raccontato il lancio e la struttura del programma, e Reuters ha seguito l’annuncio sottolineandone l’impostazione “pro-business” e l’argomento entrate per lo Stato.

Il contrasto comunicativo è evidente: da una parte l’America che fatica a decifrare premi sanitari e prezzi al dettaglio; dall’altra l’America che discute visti da un milione di dollari. Non è detto che la gold card faccia perdere voti da sola, ma contribuisce a un clima: priorità percepite contro priorità vissute.

Perché la popolarità cala davvero: tre leve che si sommano

Mettendo insieme i pezzi, il calo di popolarità non è un “mistero di umore”. È una somma di tre leve:

1) Prezzi ancora alti nella vita quotidiana. Anche con inflazione meno esplosiva, l’elettore sente che il livello dei prezzi non torna indietro con la velocità promessa.

2) Dazi che entrano nei consumi. La promessa di protezione industriale diventa costo per famiglie e rivenditori, e casi molto visibili (come gli alberi artificiali) rendono la dinamica “memorabile”.

3) Sanità come mina 2026. Se i sussidi ACA non verranno rinnovati, la stangata potenziale è abbastanza grande da spostare opinioni in tempi rapidi, anche tra elettori non ideologici.

In questo scenario, Trump può recuperare terreno solo se riesce a far coincidere due cose: narrazione e conto finale. Perché in politica economica americana, alla fine, c’è una regola non scritta: puoi discutere per ore di macroeconomia, ma l’elettore vota spesso con la ricevuta in mano. 

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