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Trump riapre la pesca commerciale nel santuario marino del Pacifico

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Trump riapre la pesca commerciale nel santuario marino del Pacifico

Con un ordine esecutivo firmato giovedì, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha revocato il divieto alla pesca commerciale nel Pacific Remote Islands Marine National Monument, uno dei santuari marini più vasti e incontaminati al mondo. Creato nel 2009 da George W. Bush e ampliato nel 2014 da Barack Obama, il santuario copre oltre 1,2 milioni di chilometri quadrati nell’Oceano Pacifico, quasi il doppio dell’intera superficie del Texas. Fino a oggi, l’area era interdetta alla pesca industriale e all’estrazione mineraria, ma consentiva solo la pesca tradizionale e ricreativa. Ora, con il nuovo decreto, le navi battenti bandiera statunitense potranno tornare a pescare in una zona cruciale per la biodiversità marina globale.

Trump riapre la pesca commerciale nel santuario marino del Pacifico

Secondo Trump, il divieto imposto dalle amministrazioni precedenti “svantaggia i pescatori commerciali onesti” degli Stati Uniti, costretti a spingersi “in acque internazionali per competere con flotte straniere scarsamente regolamentate e fortemente sovvenzionate”. Il presidente ha affermato che una pesca “gestita correttamente” non costituirebbe una minaccia per “gli oggetti di interesse scientifico e storico” presenti nel santuario. Ma le parole non bastano a rassicurare la comunità scientifica e ambientalista. L’apertura alle attività commerciali, anche se regolata, rischia di compromettere un ecosistema tra i più fragili e meno alterati dalla mano dell’uomo, in un momento in cui gli oceani subiscono pressioni crescenti da inquinamento, acidificazione e cambiamenti climatici.

Barriere coralline e specie a rischio sotto pressione
Le acque del Pacific Remote Islands Marine National Monument ospitano habitat preziosi e delicati: barriere coralline intatte, popolazioni di squali, tartarughe, balene e uccelli marini in via d’estinzione. Si tratta di un laboratorio naturale per lo studio dell’evoluzione, della biodiversità e degli effetti del riscaldamento globale. Secondo i ricercatori, la protezione integrale di questa area ha permesso per anni di osservare come si comportano gli ecosistemi marini in assenza di pressioni antropiche dirette. La riapertura alla pesca industriale rompe questo equilibrio, anche se limitata a “navi americane” e con possibilità di autorizzare navi straniere solo per il trasporto. La semplice presenza di flotte commerciali rischia di alterare la catena alimentare marina e incrementare il degrado di un ambiente già fragile.

Una decisione che segue la linea della deregulation
Il provvedimento rientra in un disegno più ampio dell’amministrazione Trump, tornata alla Casa Bianca con la promessa di spingere sull’economia e rimuovere “ostacoli” regolatori. Fin dai primi giorni del nuovo mandato, il presidente ha avviato una serie di iniziative per ridurre gli standard ambientali fissati dalle precedenti amministrazioni. La posizione scettica sul cambiamento climatico e la volontà di rilanciare i settori più tradizionali dell’economia americana – tra cui pesca, carbone e petrolio – rappresentano l’ossatura della sua politica ambientale. In questo senso, l’ordine esecutivo sulla pesca commerciale è più di un atto tecnico: è una dichiarazione ideologica.

La reazione della comunità scientifica e ambientalista
Numerose organizzazioni internazionali hanno già espresso preoccupazione per la scelta. Biologi marini, climatologi e attivisti per la difesa degli oceani temono che si apra un precedente pericoloso. “La pesca commerciale in aree protette è una contraddizione in termini”, ha affermato un portavoce del Pew Charitable Trusts, una delle principali fondazioni americane per la tutela del mare. La preoccupazione maggiore è che la decisione non resti isolata, ma diventi il primo passo verso la riapertura di altre riserve marine, compromettendo decenni di impegni internazionali per la conservazione della biodiversità. Anche le Nazioni Unite hanno più volte sottolineato la necessità di mantenere almeno il 30% degli oceani in condizioni di protezione integrale entro il 2030, un obiettivo che ora sembra più distante.

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