Il Presidente UNRAE Michele Crisci, ha parlato a Villa Blanc, sede della Luiss Business School, in occasione della conferenza stampa di fine anno dell’Associazione, lo scorso dicembre. Nell’occasione è stata presentata anche la ricerca dell’Osservatorio Auto e Mobilità della Luiss Business School.
UNRAE, il Presidente Crisci: "Auto e futuro: l'Europa rischia di perdere la corsa"
Per Crisci la crisi del settore automotive europeo non dipende solo dal Green Deal, ma da una perdita di competitività rispetto a Cina e Stati Uniti, più rapidi nell’adottare nuove tecnologie. Per il rilancio è essenziale un approccio strategico comune a livello europeo, puntando su infrastrutture, mercato interno e supporto alle imprese. Crisci evidenzia il potenziale dell’intelligenza artificiale e delle auto a guida autonoma, ma avverte che serviranno anni di investimenti per superare gli ostacoli. Infine, critica i dazi come soluzioni anacronistiche, proponendo invece dialoghi costruttivi per un futuro sostenibile e competitivo.
Presidente, questa intervista si svolge nell’occasione importante della conferenza stampa annuale di UNRAE. Una domanda secca dopo il sul intervento, che è stato molto ampio. Abbiamo speranza?
Beh, la speranza c’è, anche perché UNRAE rappresenta tutte le case costruttrici europee e mondiali che hanno una sede in Italia, coprendo circa il 75-77% del mercato nazionale. Durante questa conferenza annuale ci siamo concentrati sul tentativo di raccontare le cose come stanno. Abbiamo cercato di spiegare cosa sta succedendo nel mondo dell’automotive e se è vero o meno che la crisi del settore in Europa e in Italia sia legata al Green Deal. In realtà, abbiamo mostrato che questa crisi ha radici più profonde, come lo spostamento della produzione dall’Europa alla Cina negli ultimi decenni. Ad esempio, agli inizi degli anni Duemila la Cina produceva due milioni di auto, oggi ne produce trenta milioni. Questo ha avuto un impatto significativo sull’occupazione e sulla produzione europea.
Il Green Deal si somma a una situazione già complessa, ma non ne è la causa. Le case automobilistiche si sono adeguate per anni alle normative europee, dai cicli omologativi Euro 1 fino agli attuali Euro 6, e si stanno preparando alla svolta del 2035, quando le vetture dovranno essere a emissioni zero. Tuttavia, è fondamentale definire una strategia chiara e a lungo termine.
Una strategia molto importante che non può essere affrontata solo dall’Italia e nemmeno dalla Germania o dalla Francia da sole. Questo è un tema che è stato sollevato anche dal Presidente Draghi. Cosa ne pensa?
Assolutamente d’accordo con Il rapporto Draghi, che è emblematico. L’Europa ha perso competitività nei confronti degli Stati Uniti e della Cina. Questi paesi hanno saputo investire meglio nelle nuove tecnologie: la Cina si è concentrata sull’elettrico, mentre gli Stati Uniti su software, digitale e semiconduttori, che sono essenziali per le auto del futuro. L’Europa, invece, si è mossa con lentezza, frammentata da interessi nazionali divergenti.
Per invertire la rotta è necessario riguadagnare unità di intenti e puntare su infrastrutture, supporto alla produzione e al mercato. Se l’Europa vuole tornare a essere competitiva deve produrre per il proprio mercato interno, che con quasi 500 milioni di abitanti rappresenta comunque un bacino importante. Serve tuttavia una visione strategica chiara per rilanciare il settore e garantire che i grandi investimenti delle case automobilistiche possano generare benefici concreti. L’Europa, insomma, deve superare la frammentazione nazionale e adottare una strategia comune per affrontare le sfide globali. Cina e Stati Uniti hanno investito in tecnologie chiave come l’elettrico, i semiconduttori e i software, mentre l’Europa si è mossa troppo lentamente.
Al momento qual è l’umore delle case automobilistiche che rappresenta?
Nonostante gli enormi investimenti effettuati dalle case automobilistiche, i ritorni sono stati inferiori alle aspettative, generando preoccupazione. La percezione è che l’Europa non abbia supportato adeguatamente il settore nel raggiungimento degli obiettivi di emissioni.
Durante la conferenza è stato affrontato anche il tema dell’intelligenza artificiale. Cosa è emerso? Le case automobilistiche e i cittadini sono pronti?
L’intelligenza artificiale è qualcosa con cui ci stiamo abituando a interagire ogni giorno, dai nostri telefoni alle applicazioni. Sta entrando sempre più nelle automobili, soprattutto per migliorare la sicurezza. Ad esempio, mentre oggi i sistemi reattivi bloccano il veicolo solo dopo aver rilevato un ostacolo, l’intelligenza artificiale sarà in grado di prevedere eventi, come un pedone che potrebbe attraversare la strada. La transizione verso una sicurezza predittiva rappresenta una rivoluzione per il settore. I veicoli saranno in grado di apprendere comportamenti umani e prevenire incidenti in modo attivo, un salto di qualità rispetto ai sistemi reattivi attuali. Le vetture potrebbero essere pronte in 5-6 anni, ma per un contesto completamente funzionante saranno necessari 10-15 anni di investimenti.
Quali sono, più in dettaglio, gli ostacoli alla guida autonoma completa?
Ci sono due ostacoli principali: la relazione delle vetture intelligenti con il resto del parco circolante, che non è adeguato, e le infrastrutture necessarie per il loro utilizzo. La tecnologia è in rapida evoluzione, ma l’ambiente circostante richiederà più tempo. Forse, come detto, tra 10-15 anni, vedremo una piena integrazione.
Quanto timore c’è per i dazi imposti dagli Stati Uniti e per quelli che potrebbero riguardare le auto elettriche cinesi?
I dazi rappresentano sempre un problema, perché finiscono per aumentare i costi per i consumatori finali. In passato abbiamo visto misure simili contro le case giapponesi e coreane e non sono state soluzioni sostenibili e credo che oggi siano anacronistiche. L’Europa dovrebbe dialogare con i paesi che hanno investito meglio per trovare opportunità di collaborazione e rilanciare la catena del valore della mobilità.
Che cosa c’è dietro l’angolo per il settore automobilistico?
I prossimi anni saranno complessi. Servono piani strategici chiari e duraturi per orientare cittadini e imprese. Abbiamo parlato di fiscalità aziendale e della necessità di rendere il mercato più competitivo. Investire nel futuro, attraverso la promozione di nuove tecnologie e la sostenibilità, è l’unica strada per garantire una transizione solida e socialmente responsabile. Resistere ai cambiamenti sarebbe un errore fatale per il settore.