Il cammino di Sangiovanni (che fa proseliti)

- di: Barbara Bizzarri
 
Parliamo di Sangiovanni, inteso come cantante ventunenne. E no, la notizia non è bollita perché ha avuto il suo effetto domino: dopo di lui, che due giorni fa ha annunciato che non farà il suo unico concerto previsto ad ottobre perché non è felice (e non lo sarà neanche fra otto mesi, pare), la sua dichiarazione ha sortito una slavina di commenti solidali da parte dei colleghi, a partire da Ghemon, quello delle 4 rose viola da non confondere con un’unica rosa blu, ma non c’entra Lynch. Lo dico per chi, come me, pur apprezzando entrambe le canzoni, ha una memoria da Dori (quella di Nemo, non Ghezzi). Con tutto il gusto nostrano per la sceneggiata e sommo sprezzo del ridicolo, il rapper irpino è intervenuto nella questione, scrivendo su Instagram che “non abbiamo bisogno di un altro Tenco”. Senza Sangiovanni, dunque, non avremmo mai saputo che pure il sunnominato Ghemon, Tiziano Ferro, Syria e Levante, tra i primi a commentare le dichiarazioni di Sangiovanni augurandogli di riprendersi, hanno avuto problemi di “salute mentale” nel corso della loro carriera. Un tema trendy, nell’epoca più fancazzista della storia, in cui non si deve partire con la valigia di cartone, né accendere le candele al tramontar del sole (di questo magari ne riparleremo a luglio) o lavarsi con l’acqua gelida, quella che congelava le dita pure d’estate a Solal (citazione da Cohen), insomma, sistemati i bisogni basic, dobbiamo fare i conti con questo nuovo trend, probabilmente perché nessun adulto si è mai preso la briga di spiegare all’enfant gâté di turno come cavarsela, invece di frignare nella certezza che ormai qualsiasi frignìo sia accolto, coccolato, benvoluto, invocato a moltiplicarsi con tanto di megafono garantito sui media, solleciti come piccoli tamburini sardi.

Mi chiedo soltanto perché nessuno, nella ridda scatenata da Sangiovanni, abbia pensato a ‘Vita da Carlo’ stagione due, dove praticamente accade la stessa cosa, nonostante i sorrisi, la comprensione e l’affetto di tutti, da (San) Carlo e (Santa) Maria in poi: nella serie, molto presaga, Sangiovanni interpreta l’attore che Verdone sceglie per interpretare sé stesso da giovane. Dopo una lunga serie di peripezie e incertezze, quello molla tutti al primo giorno di riprese, lasciando al costernato regista una lettera in cui spiega che l’idea di essere famoso gli causava troppo stress. Ora, se vivessimo in un mondo giusto in cui sapere la verità fosse la prassi, a questo punto la più grande intervistatrice italiana, ovvero Candida Morvillo, sarebbe già stata spedita da Sangiovanni a fargli un paio di domandine: so che lei avrebbe potuto fargli confessare tutto, altro che un sacerdote, e invece qui tocca tirare a indovinare. Vent’anni fa, o forse trenta, quando ero una tenererrima tour manager, avrei detto che i giovani cantanti, e i giovani artisti in generale, autonomamente non possono decidere nemmeno a chi regalare i biglietti dei loro spettacoli. Non poter disporre di sé stessi condurrebbe chiunque alla depressione più nera, o quantomeno a una certa confusione mentale, e le cose da allora sono decisamente peggiorate: ci scommetterei. Anche la mancanza di libertà può dare alla testa, mica soltanto tutto il resto.
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