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Salviamo la biodiversità calcistica

- di: Andrea Colucci
 
Salviamo la biodiversità calcistica
Dopo aver salvato l'orsa JJ 4, aggiungo giustamente, adesso tocca salvare il lupacchiotto. Ecco i fatti.  Un paio di giorni fa intervenendo alla trasmissione di Radio Due “i lunatici”, Marta una ragazza di circa 23 anni ha lamentato la futura assenza del suo papà nel giorno della sua laurea a causa della finale di Europa League: Roma-Siviglia. Sì, perché il papà tra le due celebrazioni ha scelto la finale. I social sono subito impazziti, il mondo si è diviso in due, pro e contro. I contro molto di più, però; se si facesse l’analisi delle interazioni in rete verrebbe fuori quasi un linciaggio online. Ma io voglio spezzare una lancia a favore del lupacchiotto, animale di razza umana, inconsapevole, così come lo sono molti orsi nei boschi. Allo stesso modo, intendiamoci, salverei un ultras del Milan o di qualsiasi altra squadra nelle medesime condizioni di incoscienza.

Chiunque sia stato minimamente tifoso sa bene di che parlo. Quella inconsapevolezza che solo l'amore incondizionato per i colori di una squadra annebbia il cervello e rende irrazionale qualsiasi decisione. Viene facile pensare che quel papà tifoso non ci abbia pensato un attimo nella sua nebbia cerebrale a prenotarsi aereo e biglietto per la finale. La laurea tutto sommato si può festeggiare la sera successiva: una finale così ma quando ti ricapita. Se fosse una disputa tra “i figli so piezz’ e core” del compianto Mario Merola e, “io so lupacchiotto” di Massimo Boldi, proprio non ci sarebbe partita - tanto per rimanere in metafora- a favore del secondo.

Forse Marta non sa che magari quel papà per farla studiare confortevolmente ha rinunciato a molte comodità quando seguiva la squadra in trasferta, optando per soluzioni più spartane e avventurose. Quanti treni presi di notte per arrivare il mattino dopo a destinazione invece di un comodo aereo; dormendo a volte nelle trasferte invernali su strapuntini improbabili, coprendosi con la stoffa degli striscioni e delle bandiere. Però se il papà lo raccontasse oggi a Marta sono certo che lei sorriderebbe e forse troverebbe una giustificazione in più alla sua assenza. 

Questo lupacchiotto lo voglio salvare a tutti i costi, sicuro di una fulgida carriera post-laurea di Marta. Chissà magari tra qualche anno potrebbe diventare direttore marketing della Roma e allora voglio vedere come la mettiamo. “Posso citare un verso?” Così diceva il portinaio poeta dell’indimenticabile Bellavista di Luciano de Crescenzo. “Dite”, rispondeva il professore. “Davanti a una finale europea non c’è evento che tenga, nessuna ragione dei cuori: ci sono solo i nostri colori”. “E chest’è”, chiudeva il portinaio.

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