Un nuovo ordine mondiale, tra inflazione e opportunità di mercato

- di: Frederic Leroux, membro del Comitato d’Investimento strategico di Carmignac
 
Le tensioni tra Cina e Stati Uniti, e la distanza assunta dall’Arabia Saudita nei confronti di Washington, stanno delineando un nuovo ordine economico mondiale, non più incentrato sugli Stati Uniti e tale da favorire un’inflazione strutturale; quanto basta per consentire la comparsa di nuove opportunità di investimento. Nei prossimi anni, l’inflazione e le sue fluttuazioni resteranno il tema principale per l’economia, i mercati e i nostri patrimoni. L’alta probabilità di un’inflazione fluttuante ma duratura è parte dello sconvolgimento radicale dell’ordine mondiale, costruito dagli Americani dopo il 1945 intorno a un sistema finanziario incentrato sugli Stati Uniti. In questo contesto, gli Americani hanno fornito la valuta internazionale, facilmente convertibile, garantita e giustificata da un dominio diplomatico, militare ed economico. Il mercato del debito statunitense era quindi considerato il bene rifugio estremo. Gli Stati Uniti acquistavano prodotti dagli altri paesi, che investivano questo denaro nei Buoni del Tesoro statunitense beneficiando di un rendimento sicuro e soddisfacente. Tale sistema ha favorito in particolare il riciclo dei petrodollari, che consentiva agli Stati Uniti di finanziare i propri deficit derivanti dalla dipendenza dai prodotti esteri.

Dopo essere sopravvissuto alla fine della convertibilità del dollaro in oro nel 1971, questo sistema è stato mantenuto anche dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989 e dell’integrazione della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) nel 2001, consentendo agli Stati Uniti di restare il consumatore “di ultima istanza” dell’economia globale, il garante dell’ordine mondiale e lo scudo difensivo dell’Europa (tramite la NATO). Tale ordine mondiale incentrato sugli Stati Uniti sembra tuttavia essere attualmente in rapida dissoluzione. In primo luogo, sotto la Presidenza di Donald Trump, gli Stati Uniti hanno acquisito la consapevolezza dell’ascesa di un concorrente pericoloso: la Cina. Ciò ha indotto Washington ad adottare misure protezionistiche, che probabilmente ridurranno la propensione della Cina a continuare a investire i dollari rivenienti dai suoi surplus commerciali in Buoni del Tesoro statunitense. Inoltre, Pechino preferisce ormai sviluppare la nuova via della seta, che le apre altre opportunità commerciali. In secondo luogo, l’Arabia Saudita non è più l’alleato fedele degli Americani. Non asseconda più le richieste di Washington relative agli aggiustamenti da apportare alla produzione, poiché ormai gli Stati Uniti ricercano un riequilibrio economico e politico tra le potenze mediorientali, giustificato da una loro minore dipendenza petrolifera dall’Arabia Saudita. Inoltre, la guerra in Ucraina, attraverso l’aumento dei prezzi dell’energia che sta innescando, penalizza fortemente la situazione finanziaria dei paesi europei, ma anche del Giappone, che stanno perdendo la loro capacità di investire nel debito statunitense. Infine, ma non meno importante, le sanzioni imposte alla Russia, in particolare la confisca dei suoi asset in dollari e la sua esclusione dai principali circuiti di regolamento internazionali, hanno danneggiato in modo significativo lo status di bene rifugio estremo del dollaro e del debito statunitense. Come si può infatti considerare un bene come “rifugio” se da un giorno all’altro si può esserne espropriati? Il facile finanziamento dei deficit e del debito statunitense sta volgendo al termine sotto i nostri occhi, e con esso la Pax Americana che governa il mondo dal 1945. 

Riesposizioni tattiche agli asset rischiosi

La rottura di questo equilibrio, che aveva consentito lo sviluppo del commercio globale e il rallentamento dell’aumento dei prezzi, sta determinando un ripiegamento su se stessi in termini economici che alimenterà l’inflazione e favorirà le iniziative bellicose. La perdita prevedibile di efficienza economica, in combinazione con i fattori demografici e le nuove tendenze sociali, anch’esse inflazionistiche, ci proietta a pieno titolo in un nuovo ordine economico mondiale, che giustifica una profonda trasformazione delle strategie di investimento. A nostro avviso, tuttavia, tale trasformazione non preclude le riesposizioni tattiche agli asset rischiosi. Le obbligazioni offrono ormai rendimenti più in linea con il livello atteso dell’inflazione, e con l’aumento delle difficoltà di finanziamento del debito pubblico statunitense. Il loro rendimento dovrebbe potersi stabilizzare e sostenere le valutazioni delle azioni.Inoltre, notizie positive nel breve periodo sono assolutamente possibili. Sul fronte della guerra in Ucraina si stanno delineando i primi segnali importanti di una futura pacificazione, mentre si sta intravedendo la prospettiva di una conclusione della politica cinese “zero Covid”, che ha contribuito a un rallentamento molto marcato della crescita. Benché inizialmente inflazionistiche, nel lungo periodo queste due eventualità dovrebbero consentire il calo dei prezzi dell’energia e maggiore fluidità nelle catene di approvvigionamento. Rappresenteranno soprattutto un freno al rallentamento dell’economia statunitense e di quelle europee.

 Pertanto, il ritorno del ciclo economico alimenta le fluttuazioni dell’inflazione, che dovrebbe tornare a registrare un trend in calo per diversi trimestri, in grado di rivalutare gli asset finanziari. I titoli growth, che hanno fortemente risentito della prima ondata di inflazione, potrebbero inizialmente trarne vantaggio. Sarà quindi opportuno ridurne la ponderazione dei portafogli per aumentare quella dei titoli appartenenti alla “old economy”, trascurati dai mercati azionari per troppo tempo. I mercati azionari dovrebbero proseguire la ripresa tattica registrata nelle ultime settimane, confermando quindi l’instaurarsi di una nuova gerarchia a livello di performance settoriali. La ripresa dell’ottimismo non sarà tuttavia indicativa di un ritorno a un contesto di inflazione costantemente bassa. Il nuovo ordine mondiale illustrato in precedenza dovrebbe infatti contribuire a instaurare un’inflazione strutturale. L’andamento fluttuante dei prezzi, che garantisce il ritorno del ciclo economico dopo un lungo decennio di assenza, deve tuttavia essere inteso come l’opportunità di un ritorno in primo piano della gestione attiva.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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