Nel tardo pomeriggio di ieri, 8 maggio, è arrivata la conferma da Washington e Londra: Stati Uniti e Regno Unito hanno firmato un accordo commerciale da 5 miliardi di dollari, che garantisce agli americani un canale preferenziale su prodotti agricoli, etanolo, carne e macchinari. Una cifra che rappresenta poco in termini di Pil globale, ma moltissimo come segnale politico in una fase di ridefinizione degli equilibri post-globali. È il primo vero accordo bilaterale tra Washington e una grande economia occidentale da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca.
Oltre l’Atlantico: l’accordo USA-Regno Unito e la risposta muscolare dell’Europa
Il governo britannico lo ha salutato come una “vittoria” nel giorno della ricorrenza della fine della Seconda guerra mondiale. Ma l’intesa è anche la risposta pragmatica a un isolamento economico crescente dopo la Brexit. Il premier Starmer, che ha fatto dell’attrazione di investimenti una priorità, ha definito l’accordo "storico", pur sapendo che il Regno Unito ha bisogno di molto più di qualche miliardo in dazi risparmiati per invertire la stagnazione. Per il governo americano, si tratta invece di una leva per rilanciare il proprio surplus commerciale in settori dove la concorrenza con l’Unione Europea è già serrata.
L’Unione Europea prepara la controffensiva
A Bruxelles si è subito aperto un tavolo tecnico tra Commissione, Consiglio e Direzione generale per il commercio. Sul piatto ci sono misure per un valore fino a 100 miliardi di euro, sotto forma di dazi compensativi e ricorsi formali presso il WTO. È una delle più gravi frizioni transatlantiche degli ultimi cinque anni. Ursula von der Leyen, in una nota molto diplomatica, ha promesso che “l’Unione saprà rispondere con fermezza, ma dentro i limiti del diritto internazionale”. Una frase che suona come un monito, ma anche come l’ammissione che l’Europa si muove in un quadro normativo ancora legato al passato, mentre gli altri ne stanno scrivendo uno nuovo.
Reazioni dei mercati: l’illusione dell’euforia
La risposta dei mercati, nel breve, è stata positiva. Il Dow Jones ha guadagnato oltre l’1,5%, e anche Francoforte e Milano hanno chiuso in verde. Ma è una reazione che riflette la logica speculativa di breve periodo, più che una valutazione strutturale. L’intesa angloamericana solleva questioni aperte sul futuro del commercio multilaterale. In particolare, gli effetti sulle esportazioni agricole europee — già sotto pressione per i nuovi standard ambientali — potrebbero essere gravi, specie per paesi come Francia, Spagna e Italia, fortemente esposti su carni, latticini e cereali.
Trump guarda a Bruxelles con doppio registro
Il presidente Trump, in serata, ha dichiarato: “È un giorno importante per la nostra economia, ma anche per il futuro del commercio equo. Ursula von der Leyen? Fantastica, ci incontreremo presto”. Un messaggio volutamente ambiguo: aprire a una nuova trattativa bilaterale con Bruxelles, ma su basi diverse rispetto al passato. La logica è chiara: chi negozia da solo con gli Stati Uniti ottiene condizioni privilegiate. Chi resta nel perimetro delle regole multilaterali, rischia di rimanere indietro. È una sfida che l’Europa può raccogliere solo se supera le sue divisioni interne.
La posta in gioco: la leadership normativa globale
La firma dell’accordo Usa-Regno Unito non riguarda solo i flussi commerciali. Dietro le quinte, si profila un tentativo americano di imporre nuovi standard produttivi, ambientali e tecnologici nel mondo post-occidentale. Se l’Europa perde la capacità di essere modello normativo, sarà condannata al ruolo di regolatore residuale. La risposta ai dazi, per Bruxelles, non può essere solo una lista di tariffe alternative, ma una visione strategica sul futuro dell’economia globalizzata. E su chi detterà le regole.