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Artico, nuova frontiera energetica: Mosca valuta 3,6 trilioni di dollari di riserve

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Artico, nuova frontiera energetica: Mosca valuta 3,6 trilioni di dollari di riserve

Per la Russia l’Artico non è più una periferia geografica, ma un pezzo centrale della strategia energetica e geopolitica nazionale. Secondo i dati diffusi da Vostokgosplan, il valore delle riserve accertate di idrocarburi nella regione supera i 3,6 trilioni di dollari. È una cifra che spiega da sola perché Mosca continui a rafforzare infrastrutture, vie di trasporto e capacità estrattiva oltre il Circolo polare.

Artico, nuova frontiera energetica: Mosca valuta 3,6 trilioni di riserve

Il 73 per cento delle riserve di gas e il 45 per cento del petrolio artico ricadono in territorio russo, una concentrazione che consolida la proiezione del Cremlino come principale fornitore energetico del quadrante settentrionale e primo beneficiario della rotta marittima artica, destinata a crescere con lo scioglimento stagionale dei ghiacci.

Un’economia regionale modellata dalle risorse
Nelle regioni autonome di Nenets e Khanty-Mansi l’estrazione rappresenta rispettivamente oltre l’80 e quasi l’80 per cento del prodotto interno lordo regionale, segno di una struttura produttiva fortemente ancorata all’upstream. La trasformazione di materie prime è invece concentrata nelle aree di Murmansk, Arkhangelsk e Krasnoyarsk, che ospitano impianti metallurgici e petrolchimici funzionali alla filiera. L’intera economia artica russa vale oggi circa 9,7 trilioni di rubli, sostenuta da una combinazione di idrocarburi e minerali solidi strategici, dallo zinco al nichel, fino al rame necessario per tecnologie elettrificate e sistemi di rete.

Una corsa agli investimenti da 20 trilioni di rubli
Il programma varato da Mosca individua sette progetti principali per un investimento complessivo superiore ai 20 trilioni di rubli, destinati per la maggior parte all’estrazione. Vostok Oil, il progetto bandiera, vale da solo quasi 12 trilioni di rubli e rappresenta uno dei più grandi sviluppi upstream del mondo, con una proiezione occupazionale di 83 mila addetti. La pipeline di iniziative include Arctic LNG, i progetti minerari di Norilsk Nickel e il polo della Baimskaya Mining Company, tasselli di una strategia che punta a legare l’Artico ai mercati asiatici sfruttando sia la rotta del Mare del Nord sia la crescente domanda di gas liquefatto.

Energia, logistica e geopolitica

La posta in gioco è anche geopolitica: nel nuovo risiko delle rotte, la Russia mira a trasformare l’Artico in un corridoio alternativo allo snodo Suez–Malacca, accorciando le distanze verso Cina, India e Sud-est asiatico e agganciandosi alle nuove catene di fornitura orientate a Est. La guerra in Ucraina e le sanzioni occidentali hanno accelerato questo riposizionamento, spingendo Mosca a internalizzare maggiori quote di valore e a creare infrastrutture resilienti a restrizioni commerciali europee. La rilevanza crescente del GNL come commodity ponte rende l’Artico un test strategico della capacità russa di continuare a fare leva sull’energia come strumento di influenza.

Il fattore climatico come variabile industriale
La transizione globale non riduce l’interesse verso la regione, anzi lo amplia. La scarsità prevista di minerali critici e il fabbisogno di gas nella fase intermedia del passaggio alle rinnovabili conferiscono all’Artico un ruolo ibrido: riserva di sicurezza e piattaforma di ricomposizione degli equilibri energetici. Se per l’Europa l’area resta soprattutto un dossier di sicurezza e difesa, per la Russia costituisce invece un motore economico capace di riorientare capitali, occupazione e infrastrutture dentro confini nazionali. È qui che si misura la traiettoria di un Paese che, ridisegnando la sua geografia industriale, punta a trasformare l’Artico nel nuovo baricentro della propria sovranità energetica.

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