Il Presidente di AssoNEXT Giovanni Natali lancia un allarme chiaro: i risparmi previdenziali degli italiani finanziano l’estero, non il tessuto produttivo nazionale. In questa intervista denuncia il paradosso di 38 miliardi investiti all’estero dai fondi pensione contro appena 1,7 miliardi destinati all’Italia, e chiede una revisione urgente delle regole. Si parla anche della necessità di favorire le aggregazioni tra PMI, di superare il tabù del controllo familiare, di semplificare la burocrazia e di rilanciare il partenariato pubblico-privato. Per Natali, aprirsi al mercato dei capitali non è una minaccia, ma l’unica via per rafforzare il Made in Italy in un contesto globale sempre più competitivo.
Presidente Natali, "Piccolo è solo piccolo”, ha detto più volte. Come si può tradurre questa visione in strumenti concreti per superare il nanismo strutturale delle PMI italiane?
C’è prima di tutto un tema culturale, che da decenni frena la crescita dimensionale delle imprese italiane. L’idea che l’impresa debba rimanere sotto controllo della famiglia fondatrice, evitando l’ingresso di capitali esterni, è ancora troppo radicata. Detto ciò, ci sono vincoli normativi che complicano ulteriormente il quadro: oggi, in particolare, il sistema fiscale non agevola affatto le operazioni di aggregazione, soprattutto quando gli azionisti sono persone fisiche e non soggetti giuridici. Eppure, abbiamo finalmente a disposizione strumenti legislativi moderni, come le azioni a voto multiplo o maggiorato, che permettono di conciliare l’apertura del capitale con il mantenimento del controllo da parte dell’imprenditore. La Borsa deve diventare un mezzo per crescere, non un tabù. E anche un canale per finanziare acquisizioni e costruire gruppi più forti e resilienti.
Ha definito la normativa sull’azionariato diffuso “inutile e anacronistica”. Le modifiche normative recenti sono sufficienti o serve un ulteriore intervento per attrarre nuove quotazioni?
Quella norma aveva un senso nel contesto del secolo scorso, quando esistevano le banche popolari e le cooperative che facevano largo uso del concetto di azionariato diffuso per garantirsi una base ampia e fidelizzata. Ma oggi, in un mercato dei capitali profondamente cambiato, non ne vedo più l’utilità. È una norma che finisce per scoraggiare, anziché incentivare, l’accesso alla Borsa, creando un falso problema per chi vuole quotarsi. Serve una semplificazione vera, concreta. Non possiamo pensare di attrarre nuove quotazioni con un impianto normativo che guarda al passato.
Fondi pensione e assicurazioni investono ancora troppo poco nell’economia reale. Come AssoNEXT intende spingere verso una maggiore allocazione sulle PMI quotate?
È una nostra battaglia storica, che però non vogliamo trasformare in una crociata ideologica. Comprendiamo che il termine
‘obbligatorietà’ possa far storcere il naso, ma siamo di fronte a un paradosso inaccettabile: i risparmi forzati dei lavoratori italiani – attraverso fondi pensione e forme previdenziali complementari – finanziano le imprese estere, anche quelle che competono con le nostre sul mercato globale. I numeri parlano chiaro: 38 miliardi investiti all’estero contro appena 1,7 in Italia. E questo nell’azionario. È una stortura che va corretta con urgenza. Al nostro convegno del 22 maggio, il sottosegretario Freni ha parlato apertamente della necessità di una rivisitazione della normativa sulle politiche di investimento dei fondi pensione. È un primo segnale, ma ora serve concretezza.
Il partenariato pubblico-privato è un asse strategico per il rilancio del mercato. Quali criticità vede ancora da superare per renderlo davvero efficace?
Il fondo di fondi promosso da CDP è sicuramente un inizio promettente. Va nella direzione giusta: creare strumenti ponte tra capitale pubblico e investimenti privati. Ma non basta. Serve costruire un percorso virtuoso e duraturo, capace di mobilitare risorse stabili e di lungo periodo, coinvolgendo anche altri soggetti istituzionali. Occorre dare fiducia al tessuto imprenditoriale e alle PMI che vogliono crescere, ma non possono farlo da sole. Il partenariato deve diventare un meccanismo strutturale, non l’eccezione.
In un contesto globale instabile, quali leve può attivare il sistema Paese per rafforzare la competitività del Made in Italy attraverso i capitali di rischio?
Riassumo in tre punti: Primo, bisogna favorire le aggregazioni, perché senza massa critica non c’è competitività né capacità di affrontare i mercati internazionali.
Secondo, è urgente superare il tabù del controllo totale, che impedisce a tanti imprenditori di aprirsi al capitale di rischio. Il controllo è importante, ma non può diventare una gabbia.
Terzo, servono interventi drastici sulla burocrazia e sugli obblighi normativi, a partire dalla direttiva MAR, che crea vincoli spesso eccessivi e sproporzionati per le PMI. Solo così possiamo costruire un ecosistema favorevole all’investimento e alla crescita.