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Bce: nel 2025 rallentano al 3,2% le retribuzioni da accordi collettivi

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Bce: nel 2025 rallentano al 3,2% le retribuzioni da accordi collettivi

La dinamica salariale nell’area euro mostra segnali di rallentamento nel 2025, secondo quanto emerge dal più recente indicatore salariale della Banca Centrale Europea, che monitora gli accordi di contrattazione collettiva in vigore nei diversi Paesi dell’Unione monetaria.

Bce: nel 2025 rallentano al 3,2% le retribuzioni da accordi collettivi

Le retribuzioni negoziate dovrebbero crescere in media del 3,2% nel 2025, contro il +4,7% registrato nel 2024, segnando un rallentamento piuttosto marcato. La riduzione, spiega la Bce, riflette “un effetto meccanico legato agli ingenti pagamenti una tantum erogati nel 2024 ma non previsti per il 2025” e “la natura anticipata di alcuni aumenti salariali concessi in determinati settori nel corso dello scorso anno”.

Secondo l’istituto di Francoforte, il calo dell’indice non indica un indebolimento strutturale del mercato del lavoro, ma piuttosto il progressivo rientro dagli aumenti straordinari che avevano caratterizzato la fase post-pandemica e la crisi energetica del biennio 2022-2023.

Il wage tracker: andamento e componenti della crescita
Il Wage Tracker della banca centrale, che aggrega i principali contratti collettivi nazionali e settoriali, mostra come il 2024 abbia rappresentato un anno eccezionale, caratterizzato da rinnovi contrattuali con importi una tantum elevati e clausole di salvaguardia per compensare la perdita di potere d’acquisto.

Nel 2025, la tendenza cambia direzione: la contrattazione collettiva rimane espansiva ma più coerente con la stabilizzazione del quadro inflazionistico.
Il Waiwatch Tracker, che esclude le componenti una tantum, indica infatti una crescita del 4,2% nel 2024 e del 3,9% nel 2025, confermando che la parte “strutturale” delle retribuzioni resta più alta ma comunque in lieve decelerazione.

La Bce sottolinea che la moderazione salariale è un segnale positivo per il processo di disinflazione, ma avverte che la crescita dei salari rimane al di sopra dei livelli compatibili con un’inflazione stabile al 2%, almeno nel breve termine.

Le prospettive al 2026: indice in risalita al 2,2%
Guardando al medio periodo, la Banca Centrale Europea prevede un ulteriore riassestamento verso il basso.
Per il terzo trimestre del 2026, l’indice di riferimento per la retribuzione principale è stimato al 2,2%, in crescita rispetto all’1,8% del primo semestre dello stesso anno, ma comunque in linea con una dinamica salariale compatibile con la stabilità dei prezzi.

Questo dato suggerisce un progressivo allineamento tra salari nominali e produttività, che potrebbe ridurre la pressione sulle imprese e consolidare il processo di disinflazione avviato nel 2024.

Le implicazioni per la politica monetaria
Il rallentamento delle retribuzioni negoziate rappresenta un segnale incoraggiante per la Banca Centrale Europea, che ha identificato la crescita dei salari come uno dei principali fattori di rischio per la stabilità dei prezzi.
Negli ultimi mesi, l’istituto guidato da Christine Lagarde ha più volte ribadito che la politica monetaria resterà “dipendente dai dati” e che l’evoluzione del mercato del lavoro sarà cruciale per valutare i tempi e le modalità di un eventuale allentamento dei tassi.

Una crescita salariale più contenuta potrebbe dunque spianare la strada a una graduale riduzione dei tassi d’interesse nel 2026, a condizione che il rallentamento non si traduca in un indebolimento della domanda interna o in un aumento della disoccupazione.

Gli analisti osservano che la componente salariale continuerà a pesare in modo rilevante sulle decisioni della Bce, specie in un contesto in cui i prezzi dei servizi – fortemente influenzati dal costo del lavoro – restano più rigidi rispetto agli altri comparti.

Un mercato del lavoro ancora solido
Nonostante la decelerazione delle retribuzioni, il mercato del lavoro dell’area euro rimane resiliente. I tassi di occupazione si mantengono vicini ai massimi storici, mentre la disoccupazione resta su livelli minimi, attorno al 6,4% in media europea.

Il rallentamento salariale, sottolineano gli economisti di Francoforte, “non è un segnale di debolezza, ma piuttosto la normalizzazione di un ciclo contrattuale eccezionalmente espansivo”.
Nel 2024, infatti, la crescita delle retribuzioni aveva raggiunto il livello più alto mai registrato da quando la Bce monitora gli accordi collettivi, trainata soprattutto da Germania, Francia e Paesi Bassi.

La sfida: equilibrio tra salari, inflazione e produttività

Il nodo centrale per i prossimi mesi resta quello dell’equilibrio tra adeguamenti salariali, produttività e margini aziendali.
Se da un lato un rallentamento della crescita delle retribuzioni aiuta a contenere l’inflazione, dall’altro un eccessivo raffreddamento potrebbe pesare sui consumi interni, ancora oggi uno dei principali motori della crescita europea.

Per la Bce, l’obiettivo è accompagnare il rallentamento salariale “senza soffocare la domanda” e garantendo che il potere d’acquisto recuperato nel 2024 non venga nuovamente eroso.

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