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PA, Cgia: in un caso su tre lo Stato centrale non paga i fornitori

- di: Barbara Leone
 
PA, Cgia: in un caso su tre lo Stato centrale non paga i fornitori
In quasi un caso su tre, nel 2022 l’Amministrazione centrale dello Stato non ha pagato i propri fornitori. A fronte di 3.737.000 fatture ricevute per un importo complessivo pari a 20,2 miliardi di euro, ne ha liquidate 2.552.000, corrispondendo a queste imprese 14,8 miliardi. Pertanto, 1.185.000 fatture, pari ad un importo complessivo di 5,4 miliardi di euro, non sono state onorate. In altre parole, lo Stato centrale ha acquistato beni, servizi ed ha realizzato opere pubbliche, ma poi non ha pagato in quasi un caso su tre. Con questa condotta ingiustificabile, l’Amministrazione statale ha spinto verso il baratro moltissime imprese, soprattutto di piccola dimensione. La denuncia è sollevata dall’Ufficio studi Cgia che ha elaborato i dati della Corte dei Conti.

PA, Cgia: in un caso su tre lo Stato centrale non paga i fornitori

Altresì, come ha sottolineato nella sua relazione la Corte dei Conti, nelle transazioni commerciali con le aziende private da qualche tempo la nostra Pubblica Amministrazione sta adottando una prassi che definire “diabolica” è forse riduttivo; liquida le fatture di importo maggiore entro i termini di legge, mantenendo così l’Indice di Tempestività dei Pagamenti (ITP) entro i limiti previsti dalla norma, ma ritarda intenzionalmente il saldo di quelle con importi minori, penalizzando, così, le imprese fornitrici di prestazioni di beni e servizi con volumi bassi; cioè le piccole imprese. L’Ufficio studi della Cgia tiene a precisare che i mancati pagamenti appena esposti non includono quelli ascrivibili alle regioni, agli enti locali (province, comuni, comunità montane, etc.) e alle aziende sanitarie. Amministrazioni, queste ultime, che presentano, in particolar modo al Sud, tempi di pagamento e debiti commerciali molto superiori a quelli registrati dallo Stato centrale. Pertanto, la denuncia sollevata è, molto probabilmente, solo la punta dell’iceberg di un malcostume che, purtroppo, attanaglia tutta la nostra PA.

Tutta la nostra PA presenta un debito commerciale di parte corrente nei confronti dei propri fornitori, in gran parte Pmi, che nel 2022 ha toccato i 49,6 miliardi di euro; praticamente lo stesso livello che avevamo nel 2019, anno pre-pandemia. In rapporto al Pil, i mancati pagamenti in Italia ammontano al 2,6 per cento. Nessun altro paese dell’UE a 27 registra un’incidenza così elevata. Insomma, nonostante gli sforzi, la nostra PA continua a essere la peggiore pagatrice d’Europa. Secondo Eurostat, infatti, nessun altro Paese in UE presenta uno score peggiore del nostro. Con la sentenza pubblicata il 28 gennaio 2020, la Corte di Giustizia Europea ha affermato che l’Italia ha violato l’art. 4 della direttiva UE 2011/7 sui tempi di pagamento nelle transazioni commerciali tra amministrazioni pubbliche e imprese private. Sebbene in questi ultimi anni i ritardi medi con cui vengono saldate le fatture in Italia siano in leggero calo, il 9 giugno 2021 la Commissione Europea ha avviato nei confronti del nostro Paese una nuova procedura di infrazione, sempre per la violazione della direttiva richiamata più sopra, in relazione al noleggio di apparecchiature per le intercettazioni telefoniche e ambientali nel quadro delle indagini penali. Il 29 settembre 2022, invece, la Commissione ha aggravato la procedura di infrazione nei confronti dell’Italia e, infine, ad aprile di quest’anno, in relazione a una presunta violazione della Direttiva sui pagamenti a carico del sistema sanitario della regione Calabria, ci ha fatto pervenire una lettera di messa in mora. Per risolvere questa annosa questione che sta mettendo a dura prova tantissime Pmi, per l’Ufficio studi della Cgia c’è solo una cosa da fare: prevedere per legge la compensazione secca, diretta e universale tra i crediti certi liquidi ed esigibili maturati da una impresa nei confronti della PA e i debiti fiscali e contributivi che la stessa deve onorare all’erario. Grazie a questo automatismo risolveremmo un problema che ci trasciniamo appresso da decenni. E finalmente, c’è la possibilità di arrivare a una definizione normativa in tempi, si spera, ragionevolmente brevi. I Radicali Italiani, infatti, da qualche giorno stanno raccogliendo le firme (anche on line) in tutto il Paese per proporre al Senato una proposta di legge di iniziativa popolare che ricalca quanto suggerito dalla Cgia.

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