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Dazi: Ishiba si piega, firma l’intesa con Usa e ad agosto se ne va

- di: Giuseppe Castellini
 
Dazi: Ishiba si piega, firma l’intesa con Usa e ad agosto se ne va
Trump ottiene maxi-investimenti e dazi al 15%. Tokyo frena, ma il premier si prepara all’addio tra tensioni interne e accuse di resa.

Accordo sbilanciato, clima teso: la stretta di mano finale prima del passo indietro

Un’intesa difficile, siglata in extremis, con il sapore amaro della resa e il retrogusto della fuga. Il premier giapponese Shigeru Ishiba, dopo settimane di negoziati sottotraccia con Washington, ha firmato un accordo commerciale con gli Stati Uniti che evita l’escalation tariffaria voluta da Donald Trump, ma che lascia profonde cicatrici in patria. Un compromesso raggiunto a caro prezzo: dazi fissati al 15% su auto e beni nipponici, 550 miliardi di dollari di investimenti promessi negli Usa, aumento delle importazioni di riso americano e un’opinione pubblica spaccata. Sullo sfondo, una scadenza clamorosa: Ishiba ha già annunciato che lascerà la guida del governo ad agosto.

Trump festeggia: “Accordo storico, 550 miliardi in arrivo”

“È forse l’accordo più importante mai firmato dagli Stati Uniti. Porterà migliaia di nuovi posti di lavoro e profitti per il 90% agli americani”, ha scritto Donald Trump su Truth Social il 22 luglio, celebrando una vittoria personale dopo settimane di scontri a suon di dazi con gli alleati storici. L’intesa prevede che il Giappone investa 550 miliardi di dollari in America, anche se le modalità restano fumose. “Si tratta di prestiti e investimenti già in parte pianificati”, ha precisato Ishiba nella conferenza stampa del 23 luglio a Tokyo.

Il negoziatore Akazawa e l'ottava missione a Washington

La firma dell’accordo è arrivata dopo l’ottavo viaggio a Washington del capo negoziatore giapponese Ryosei Akazawa, che ha incontrato i funzionari americani con l’obiettivo di scongiurare la minaccia del 25% di dazi su auto, acciaio e alluminio. “Missione compiuta”, ha scritto Akazawa su X il 23 luglio, mentre la Borsa di Tokyo reagiva con entusiasmo: il Nikkei è balzato di oltre il 3% grazie alla riduzione dei dazi al 15%, un segnale di sollievo per le industrie automobilistiche nipponiche.

Ishiba: “Difendiamo i nostri interessi”, ma il malcontento cresce

“Non posso commentare i dettagli prima di averli analizzati a fondo, ma come governo riteniamo che l’accordo protegga gli interessi nazionali”, ha dichiarato Shigeru Ishiba, mantenendo un tono difensivo e prudente. Il punto più controverso riguarda l’impegno del Giappone ad aumentare le importazioni di riso americano, all’interno della cosiddetta “quota di accesso minimo”. Un gesto simbolico ma politicamente esplosivo, soprattutto tra le fila della coalizione conservatrice. “Non abbiamo concesso nulla che metta a rischio il nostro settore primario”, ha assicurato il premier, ma la base rurale non sembra convinta.

Nessun vincolo sulla difesa, ma la pressione resta

Trump, nei mesi scorsi, aveva chiesto esplicitamente al Giappone di aumentare la propria spesa per la difesa. L’opinione pubblica nipponica temeva che tale richiesta venisse inglobata nell’accordo commerciale. Ma Ryosei Akazawa ha chiarito: “L’intesa non contiene nulla relativo alla spesa militare”. Tuttavia, il tema non è archiviato. Secondo osservatori internazionali, gli Usa puntano a un riassetto complessivo dell’equilibrio strategico nel Pacifico, e Tokyo sarà inevitabilmente chiamata a fare la sua parte.

Una firma che suona come un commiato

La notizia della firma coincide con quella, ancor più clamorosa, del ritiro di Ishiba dalla politica. Il premier dovrebbe rassegnare le dimissioni entro agosto. L’annuncio ufficiale è atteso nei prossimi giorni, ma i motivi appaiono evidenti: l’accordo con Trump ha spaccato la maggioranza e la sua leadership è in discussione. Il ministro dell’Economia Naoki Inoue e quello degli Esteri Yoko Komatsu sarebbero già in corsa per la successione.

Un successo per Washington, un compromesso per Tokyo

A ben vedere, l’accordo siglato tra Trump e Ishiba sembra più un esercizio di forza americana che un reale partenariato commerciale. Il presidente Usa lo usa come bandiera per rilanciare il suo isolazionismo “muscolare”, dopo le tensioni con l’Unione europea e la Cina. Per il Giappone, invece, si tratta di un compromesso imposto: una vittoria di Pirro che ha evitato la tempesta perfetta sui mercati, ma che lascia ferite politiche profonde. “Abbiamo fatto ciò che era necessario per proteggere il nostro popolo”, ha detto Ishiba, ma le sue parole sembrano più un epitaffio che un rilancio.

Prospettive: quale sarà il vero impatto?

Restano aperte molte domande. A quanto ammontano realmente gli investimenti promessi? Quali settori americani ne beneficeranno? E quale sarà l’impatto sulle aziende giapponesi costrette a pagare dazi, seppure inferiori a quelli inizialmente minacciati? Secondo osservatori internazionali, manca un documento ufficiale dettagliato. L’accordo è stato siglato sulla fiducia e su annunci unilaterali, un precedente pericoloso in materia di commercio internazionale.

Una tregua, non una pace

Con la firma dell’accordo, il Giappone ha evitato una crisi immediata, ma ha aperto un fronte interno di instabilità. La crisi di leadership di Ishiba e il malcontento di parte della popolazione rurale mostrano come anche una “tregua commerciale” possa lasciare macerie politiche. Trump ottiene una vittoria tattica, utile alla sua propaganda interna. Ma nel lungo termine, la pressione sugli alleati rischia di logorare la fiducia, e di spingere paesi storicamente fedeli a cercare alternative. Anche in Asia, la pax trumpiana è solo di facciata.

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