L’ingegner Francesco De Bettin spiega perché la decarbonizzazione è un imperativo e non una scelta. Parla di neutralità tecnologica, crediti di carbonio, infrastrutture intelligenti, transizione digitale e sovranità climatica fondata sul merito. Un’intervista che mette al centro persone, territori e competenze, superando le logiche del greenwashing.
DBA Group, De Bettin: "I crediti di carbonio non sono un lusso, ma una leva di giustizia"
Ingegnere, nel suo “Breve trattato sui Crediti di Carbonio” lei parla di “conversione ecologica” e non semplicemente di transizione. Quanto conta, oggi, l’evoluzione semantica per guidare quella tecnologica?
La preferenza, nel trattato, per ‘conversione ecologica’ rispetto a ‘transizione’ nasce dalla consapevolezza che le parole orientano la visione. La transizione è un passaggio tecnico, spesso percepito come temporaneo. La conversione, invece, è un cambio di paradigma: culturale, sociale, economico. Dietro questa scelta semantica si cela un cambiamento rivoluzionario del modello di sviluppo: dal sistema lineare post-industriale a un modello circolare, a scarto zero. La conversione è un nuovo modo di pensare, in cui le transizioni diventano strumenti operativi. L’obiettivo resta il Net Zero più o meno al 2050 ma la sfida è arrivarci vivi, come società e come sistema territoriale.
I crediti di carbonio sono spesso percepiti come un lusso per grandi gruppi industriali o come uno strumento di greenwashing. Qual è, invece, il potenziale nascosto per le comunità locali e i territori marginali?
Non lo sono affatto, se certificati in modo ufficiale. Sono piuttosto un vettore di trasferimento finanziario volontario tra chi è costretto a emettere gas serra per effetto delle sue attività antropiche, verso chi, al contrario, riduce virtuosamente le proprie emissioni agendo sul suo proprio modo di agire. In questo meccanismo volontario (quindi non riconducibile all’obbligatorietà ETS), chi inquina paga (penalità), chi migliora l’ambiente viene premiato (premialità). Si possono così generare valore economico da foreste, migliore uso del suolo, produzione di energia pulita, riduzione delle emissioni. Il credito diventa uno strumento di equità e certezza: rende più sostenibili, stabili e giuste le transizioni energetiche e ambientali. Anche per chi parte in ritardo. Se i Registri dei Crediti di Carbonio fossero su blockchain, diciamo che è una specie di bitcoin ambientale.
Lei sostiene che i crediti di carbonio rappresentano “la metrica di una nuova era industriale”. Possiamo dire che oggi il vero capitale competitivo sia la capacità di misurare l’impatto, e non solo il profitto?
Sì, oggi la vera competitività sta nella capacità di misurare l’impatto, non solo il profitto. I crediti di carbonio sono una delle nuove metriche delle attività antropiche, in particolare di quelle produttive. Permettono di calcolare, compensare e annullare l’impronta carbonica residua, avvicinandosi concretamente al bilancio carbonico nullo. In questo senso, non misurano solo ciò che si fa, ma quanto costa all’ambiente. Chi riduce o rimuove emissioni genera valore ambientale e può scambiarlo. È la base di un’economia rigenerativa, dove sostenibilità e competitività si rafforzano a vicenda.
La crisi climatica è anche una crisi infrastrutturale. Come può l’ingegneria dei “sistemi territoriali complessi” contribuire concretamente alla neutralità carbonica, senza cadere nell’ideologia?
La crisi climatica è anche una crisi di ‘approccio progettuale’ che innesca la necessità di un ritorno a una più profonda conoscenza tecnica multidisciplinare e all’ingegneria vera, ben al di là dei ‘servizi di ingegneria’. Servono infrastrutture resilienti, flessibili e misurabili. L’ingegneria dei sistemi territoriali complessi può guidare la neutralità carbonica senza ideologia e in coerenza con i paradigmi di sostenibilità e neutralità tecnologica, integrando dati, energia, mobilità e ambiente in modelli operativi. Strumenti come i digital twin e l’intelligenza artificiale permettono simulazioni “what-if”, ottimizzano scenari, misurano impatti in tempo reale. La transizione digitale avanzata non è un orpello: è la chiave per rendere ogni transizione energetica ed ecologica più efficiente, tracciabile e centrata sui bisogni reali di territori e persone.
Oggi il mercato volontario dei crediti di carbonio è ancora considerato un universo fluido e poco regolato. Quali sono le condizioni necessarie per renderlo uno strumento affidabile, paritario e democratico?
Per rendere il mercato volontario affidabile, paritario e democratico servono regole chiare, standard comuni e registri pubblici trasparenti. In Italia, con l’istituzione nel 2024 del Registro Pubblico Nazionale dei Crediti di Carbonio Agro-Forestali, siamo all’avanguardia nel contrasto a truffe e greenwashing: ogni credito iscritto è tracciabile, verificato e certificato. Ma serve estendere questo modello anche ai crediti da evitata e/o ridotta emissione e da rimozione tecnologica. Solo così i crediti saranno veri strumenti di giustizia climatica, accessibili a tutti.
Guardando al futuro, quale ruolo possono giocare le tecnologie digitali - dall’intelligenza artificiale ai dati satellitari - nella certificazione e nella tracciabilità dei crediti? È qui che si giocherà la prossima partita?
Sì, la prossima partita si gioca proprio lì. Le tecnologie digitali sono decisive per garantire tracciabilità, trasparenza e affidabilità nei crediti di carbonio. L’intelligenza artificiale consente di elaborare grandi volumi di dati ambientali, riconoscere anomalie, stimare impatti. I dati satellitari e i sensori in campo permettono di verificare in tempo reale l’evoluzione dei progetti. È così che si certifica ciò che prima era solo dichiarato. Digital twin, blockchain, GIS avanzati: questi strumenti renderanno il mercato più solido, democratico e aperto anche a chi oggi è tagliato fuori dalla finanza climatica.
Se l’Italia saprà dotarsi di una governance lungimirante, come dice lei, quali potrebbero essere i primi tre interventi chiave per costruire una “sovranità climatica” fondata sul merito, non sui sussidi?
Per costruire una vera sovranità climatica fondata sul merito servono tre scelte strategiche. Primo: estendere il Registro Pubblico dei Crediti a tutte le forme certificate di riduzione e rimozione, premiando chi genera valore ambientale. Secondo: creare piattaforme digitali interoperabili per la tracciabilità dei progetti, accessibili anche agli enti locali piccoli e grandi. Terzo: integrare i crediti nei bilanci pubblici e nelle strategie industriali, non come sussidi, ma come riconoscimento del valore generato. È così che si sostituiscono le rendite passive con un’economia del clima attiva, produttiva e giusta.
Parla spesso di arrivare al 2050 “vivi”. Cosa significa, per lei, sopravvivere alla transizione non solo come imprenditore, ma come cittadino, come padre, come ingegnere?
Arrivare vivi al 2050 significa affrontare la transizione non come una corsa al ribasso, ma come un’evoluzione che tenga insieme economia, giustizia sociale e qualità della vita. Da imprenditore, cittadino e padre credo serva concretezza: adottare il paradigma della neutralità tecnologica e superare il rifiuto ideologico del nuovo. Da ingegnere, so che bisogna progettare sistemi circolari e sostenibili, che non scarichino costi sul futuro. Il modello lineare va superato con equilibrio, senza traumi. Perché si scrive transizione, ma si legge Conversione Ecologica.