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Palestina, valanga di riconoscimenti: cambia la mappa globale

- di: Vittorio Massi
 
Palestina, valanga di riconoscimenti: cambia la mappa globale
Francia, Regno Unito, Australia, Malta e altri Paesi pronti a dire sì all’Onu. Israele accusa: “È un premio a Hamas”.

Una valanga diplomatica per la Palestina

Il riconoscimento dello Stato di Palestina, per anni congelato nella palude della geopolitica, sta vivendo un’accelerazione travolgente. Nell’arco di pochi giorni, Francia, Regno Unito, Malta, Australia, Canada, Nuova Zelanda, Finlandia, Portogallo e altre democrazie occidentali hanno annunciato che prenderanno posizione formale entro settembre, in occasione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Una mossa destinata a riscrivere gli equilibri internazionali, tra l’entusiasmo palestinese, la rabbia di Israele e le titubanze di Washington.

“La coesistenza tra Israele e uno Stato palestinese democratico è l’unica via per la pace”, ha affermato il premier belga Bart De Wever, dando il via all’invio di aiuti alimentari e sanitari verso Gaza, mentre la carestia avanza e le immagini di bambini scheletrici scuotono l’opinione pubblica mondiale.

Macron rompe il fronte e guida il gruppo dei 14

Il primo colpo è arrivato da Parigi, dove Emmanuel Macron ha annunciato che la Francia “non può più restare spettatrice” e si dice pronta a riconoscere ufficialmente lo Stato palestinese, “in coerenza con il diritto internazionale e con l’urgenza umanitaria”. Subito dopo, 14 Paesi europei, tra cui Spagna, Irlanda, Slovenia, Norvegia e Belgio, hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta con Arabia Saudita e Qatar chiedendo “un riconoscimento diffuso e coordinato”.

La reazione israeliana è stata furiosa: il ministro degli Esteri Israel Katz ha parlato di “un regalo a Hamas che indebolisce gli sforzi per la tregua e il rilascio degli ostaggi”. Da Washington, il senatore Marco Rubio ha definito la mossa “pericolosa e irresponsabile”.

Starmer: “A settembre voteremo sì, se Israele non cambia rotta”

Il secondo scossone è arrivato da Londra. Il neo-premier britannico Keir Starmer ha dichiarato che il Regno Unito riconoscerà la Palestina a settembre, salvo drastici cambiamenti da parte di Israele. “Serve un cessate il fuoco immediato, accesso agli aiuti e fine dell’annessione in Cisgiordania”, ha detto il 29 luglio alla Camera dei Comuni.

Starmer ha poi risposto alle critiche secondo cui la sua mossa equivarrebbe a una legittimazione di Hamas: “Non stiamo premiando il terrorismo, stiamo difendendo la legalità internazionale. Questo riguarda i bambini che muoiono di fame a Gaza”.

La replica del premier israeliano Benjamin Netanyahu è arrivata via social: “Starmer premia Hamas e punisce le sue vittime. Uno Stato jihadista oggi minaccia Israele, domani l’Europa”.

Anche Malta ha deciso: “Lo faremo all’Onu”

A rafforzare l’effetto domino è stata l’ufficializzazione maltese: il premier Robert Abela ha annunciato che “Malta riconoscerà lo Stato palestinese all’Assemblea Generale ONU”. Una scelta maturata durante la conferenza internazionale di New York sulla soluzione dei due Stati, dove ha parlato anche il Segretario ONU Antonio Guterres: “Non è più tempo di sogni, ma di realtà concrete. La pace passa dalla nascita di uno Stato palestinese che viva accanto a Israele”.

L’Australia ondeggia ma si prepara

Dall’altra parte del mondo, l’Australia si dice “pronta a fare il salto”. Il ministro degli Esteri Penny Wong, durante un’intervista all’ABC il 28 luglio, ha dichiarato: “Non è più una questione di ‘se’, ma di ‘quando’. Il riconoscimento della Palestina è una tappa obbligata”. Anche il Canada è sulla stessa linea, seppure in attesa di una sintesi tra le diverse anime della maggioranza liberale.

Nel frattempo, a Canberra cresce la pressione dell’opinione pubblica: l’80% degli elettori laburisti e il 60% dei giovani australiani si dicono favorevoli a una presa di posizione immediata.

Oltre 150 Paesi già a favore: è isolata solo l’America trumpiana

Secondo dati ONU aggiornati al luglio 2025, 153 Stati su 193 riconoscono formalmente la Palestina. A essere in ritardo non è il mondo: sono Stati Uniti, Germania, Giappone, Italia, Australia e Canada, dove a frenare è la geopolitica, non la società.

Negli ultimi 14 mesi, il fronte dei riconoscimenti ha visto l’ingresso di Messico, Armenia, Cile, Colombia, Barbados e Trinidad e Tobago. A far da apripista nel 2024 erano stati Spagna, Irlanda, Norvegia e Slovenia, con una dichiarazione simultanea che aveva già scatenato reazioni durissime da Tel Aviv.

Teresa Ribera: “Le immagini di Gaza sono come Auschwitz”

Tra le voci più forti in Europa spicca quella della vicepresidente della Commissione Ue, la spagnola Teresa Ribera, che alla radio Cadena Ser ha denunciato: “Le immagini della fame a Gaza ricordano Auschwitz e il ghetto di Varsavia. È inaccettabile che l’Ue continui a parlare senza agire”.

Ribera ha proposto sanzioni contro Israele, accusando Ursula von der Leyen di non guidare con coraggio la risposta europea. “Ogni settimana in Commissione chiedo misure concrete, ma non c’è unanimità. Siamo spettatori di un disastro morale e politico”.

Netanyahu sotto assedio anche in casa

Intanto, lo stesso governo israeliano scricchiola: i partiti ultraortodossi Shas e United Torah Judaism, pur usciti dall’esecutivo per ragioni interne, hanno dichiarato che sosterranno “qualsiasi accordo che riporti a casa gli ostaggi, vivi o morti”. Si dissociano anche dalle pressioni per nuovi insediamenti nella Striscia di Gaza, che una parte dell’ultradestra sta già pianificando, con richieste formali al ministro della Difesa.

La Cina rilancia la soluzione a due Stati

La posizione della Cina resta inequivocabile: “A Gaza si sta consumando una catastrofe umanitaria senza precedenti. Serve una tregua immediata e la creazione di uno Stato palestinese indipendente come unica opzione realistica per la pace”, ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri Guo Jiakun durante una conferenza stampa a Pechino. Pechino ha anche annunciato nuovi aiuti alimentari via mare, in collaborazione con il Programma Alimentare Mondiale.

Verso settembre: la diplomazia corre, la fame avanza

A Gaza la fame continua a mietere vittime: secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, sono 74 le persone morte di malnutrizione da inizio anno, di cui 63 solo nel mese di luglio. Di questi, 25 erano bambini. Le Nazioni Unite parlano apertamente di “carestia indotta”, aggravata dai raid israeliani e dal blocco degli aiuti.

Nel frattempo, convogli da Egitto e Giordania continuano ad attraversare il valico di Kerem Shalom, ma il flusso è insufficiente. L’inviato Usa Steve Witkoff, vicino a Donald Trump, è in Israele per cercare una tregua, mentre lo stesso Trump ha promesso che “la distribuzione di cibo a Gaza inizierà molto presto”. Ma le ONG sono scettiche: “Serve un cessate il fuoco, non solo pacchi di riso”, ha dichiarato un rappresentante di Save the Children.

La mossa simbolica che può cambiare il mondo

Il riconoscimento della Palestina non è una bacchetta magica. Non fermerà i bombardamenti né farà nascere uno Stato dall’oggi al domani. Ma è una cesura storica. Per la prima volta, le grandi democrazie occidentali stanno dicendo chiaramente che la legalità internazionale conta più delle convenienze geopolitiche.

Settembre 2025 potrebbe segnare un punto di non ritorno. O la comunità internazionale sarà coerente con le sue stesse risoluzioni, o perderà definitivamente la propria credibilità. Nel frattempo, in una Gaza affamata e bombardata, ogni ora conta. E la diplomazia, se vuole essere utile, deve accelerare.

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