Con tariffe fino al 107% gli Usa alzano il muro: aziende pronte a strade alternative, Bruxelles promette di intervenire.
La scure dei super-dazi si abbatte sulla pasta italiana. Con un’addizionale antidumping fino al 91,7% che, sommata al 15% già in vigore sulle importazioni europee, porta l’onere potenziale al 107%, il secondo mercato estero per i nostri produttori rischia di trasformarsi in un deserto commerciale. A catena scattano tre riflessi: piani di delocalizzazione oltre Atlantico, valutazione di linee non colpite e il tentativo di un contrattacco legale e politico in sede Ue e, se necessario, Wto.
Il dossier americano e la morsa dei numeri
La miccia è la determinazione preliminare del Dipartimento al Commercio statunitense nell’ultima review su “certain pasta from Italy” (periodo luglio 2023–giugno 2024): per alcuni produttori italiani è stato riscontrato “less than normal value”, con margini che sfiorano il 92%. L’avvio dell’efficacia è indicato a gennaio. La misura, se confermata, rincarerebbe il prezzo per i consumatori americani e contrarrebbe l’export di un comparto chiave.
La risposta di Roma e Bruxelles
Palazzo Chigi e la Farnesina hanno avviato un pressing bilaterale, mentre la Commissione europea ha messo a verbale che sta «collaborando con l’Italia» sull’indagine e «interverrà se necessario». Il messaggio è chiaro: massima disponibilità a usare gli strumenti della politica commerciale e, se servirà, a passare per il Wto, distinguendo il fascicolo antidumping dal quadro dei dazi generali al 15%.
Aziende al bivio: restare, litigare, partire
Tra i marchi più esposti c’è La Molisana. L’amministratore delegato Giuseppe Ferro denuncia un salto tariffario «insostenibile» e procedure percepite come inique: «Con dazi al 107% non è possibile lavorare; discuteremo con l’amministrazione americana». Sul tavolo più opzioni: prosecuzione del contenzioso, valutazione di produzioni negli Stati Uniti per neutralizzare il dazio alla frontiera, e focalizzazione su linee non colpite. L’azienda ha precisato che ogni scelta industriale estera richiederà analisi e tempi, segno della tensione strategica che attraversa il settore.
Il nodo tecnico: dumping o protezionismo travestito?
La partita si gioca su due binari: il calcolo del margine di dumping (Commerce) e l’injury al settore domestico (International Trade Commission). Da anni in Europa si contestano prassi come lo “zeroing”, che tendono ad amplificare i margini. Un diverso algoritmo può trasformare un esito «zero» in un «90%». È qui che si concentrano i ricorsi.
Effetti a catena su prezzi e filiere
Il rischio immediato è un rialzo dei prezzi sugli scaffali americani per le paste premium made in Italy non prodotte localmente, con possibile spiazzamento a favore di chi dispone già di stabilimenti negli Usa. Per l’Italia la misura si tradurrebbe in quote perdute e margini erosi, con ricadute sulle filiere grano-semola-logistica.
Politica interna: la miccia identitaria
Il caso alimenta la polarizzazione italiana: opposizioni che parlano di debolezza verso Washington, proposte di compensazioni finanziate con extraprofitti, forze ambientaliste che denunciano «pasta italiana sotto attacco». Non è solo contabilità: è sovranità percepita.
Le prossime mosse
Nelle prossime settimane sono attesi commenti formali al preliminare del Commerce. In parallelo proseguirà il canale politico Ue-Usa, mentre le imprese raffineranno i piani B: joint venture o siti oltre oceano, consolidamento delle reti già presenti e spinta su fasce di prodotto non coinvolte.