Due offerte vincolanti e un impianto che vale più dell’acciaio: lavoro, Stato e svolta green.
(Fonte: uno dei vari tavoli riuniti per risolvere la questione ex Ilva).
La partita per l’ex Ilva entra nel vivo: sul tavolo dei commissari arrivano due offerte vincolanti,
entrambe con passaporto americano. Da una parte Flacks Group, dall’altra Bedrock Industries.
E mentre la procedura resta tecnicamente aperta ad eventuali rilanci migliorativi, il tempo politico e industriale
corre più veloce del calendario.
Il cuore della questione non è un semplice “chi compra”: è quanta produzione si promette,
quanti posti si salvano e quali investimenti si mettono davvero a terra,
con il capitolo ambientale che oggi non è più una nota a margine, ma il titolo di testa.
Due offerte, un bivio
I commissari straordinari confermano la presenza di due proposte per l’acquisizione dell’intero perimetro industriale.
È un passaggio chiave: dopo mesi di indiscrezioni, sopralluoghi e due diligence, la gara entra nella fase in cui contano
le cifre e gli impegni scritti.
Nel frattempo, la formula resta quella già annunciata: massimo riserbo nell’analisi dei dossier,
perché la negoziazione si gioca anche sui dettagli – e i dettagli, qui, valgono migliaia di buste paga e miliardi di euro.
Il piano Flacks: euro simbolico, investimenti maxi e Stato in quota
La proposta di Flacks Group ruota attorno a un’idea semplice e spiazzante: acquisizione a prezzo simbolico
(il famoso “un euro”) ma con un piano che punta a rimettere in carreggiata l’impianto attraverso un pacchetto di interventi
e un obiettivo produttivo dichiarato.
Le informazioni circolate in queste ore attribuiscono al piano un traguardo di circa 4 milioni di tonnellate annue
e un volume complessivo di investimenti fino a 5 miliardi per rilancio e risanamento. Sul fronte lavoro,
Flacks indica un organico nell’ordine di 8.500 addetti, mentre nello schema compare anche una presenza pubblica:
lo Stato al 40% in una fase iniziale, con una prospettiva di riacquisto della quota a valori indicativi
tra 500 milioni e 1 miliardo.
Traduzione: il gruppo scommette sul fatto che senza una spalla pubblica (finanziaria e politica) la trasformazione
non regge; e prova a scrivere in anticipo la “clausola di convivenza” tra capitale privato e interesse nazionale.
Bedrock: la seconda offerta che cambia ritmo alla gara
Con Bedrock Industries rientra in scena un operatore già affacciato nei passaggi precedenti.
La novità, oggi, è che l’offerta è arrivata entro la scadenza e completa il quadro di una contesa
che diventa, di fatto, un duello.
Sui contenuti del dossier, le informazioni pubbliche restano più limitate. Ma il punto politico-industriale è chiaro:
Bedrock punta al controllo dell’intero perimetro e viene descritta come realtà con esperienza nella
siderurgia nordamericana. La valutazione dei commissari procede “voce per voce”, perché in queste operazioni il valore
non è solo negli asset, ma nel piano di continuità e nelle garanzie.
Il termometro sindacale: alta tensione su ciclo produttivo e occupazione
Se i dossier finanziari vengono letti in silenzio, fuori dagli uffici il volume è alto.
La Fiom chiede che il dossier venga portato direttamente a Palazzo Chigi,
segnalando la necessità di una regia centrale.
Le organizzazioni metalmeccaniche continuano a contestare le ipotesi di ciclo “corto”:
il timore è che la traiettoria, invece di accompagnare la transizione, finisca per comprimere la produzione
e aprire una voragine sul lavoro. Il nodo occupazionale resta quindi la prima riga dell’agenda,
insieme al tema (ormai inevitabile) di decarbonizzazione e investimenti ambientali.
Il fattore istituzioni: Urso, Decaro e la richiesta di una presenza pubblica
Sul fronte politico, la discussione si sposta su due binari: chi entra e con quali condizioni.
Il ministro Adolfo Urso ha parlato di possibili interessi anche extra-europei, e il neo presidente della Regione Puglia,
Antonio Decaro, ha riferito che sul tavolo c’è “l’ipotesi” legata ai fondi americani.
Decaro insiste su un punto: senza una presenza dello Stato non ci sarebbero né una vera decarbonizzazione
né una tutela efficace dei lavoratori, sintetizzando così la linea: “lo Stato deve entrare”.
Cosa succede adesso: la fase più delicata
Il percorso, adesso, passa dalla verifica di completezza e conformità delle offerte rispetto ai requisiti del bando.
Poi inizierà la parte più concreta: confrontare i piani su tre pilastri che non ammettono scorciatoie:
produzione, occupazione, investimenti.
Il punto è che l’ex Ilva non è un’azienda come le altre: è una scelta industriale che tocca filiere, territorio,
salute pubblica e bilanci dello Stato. E ogni cifra – tonnellate, miliardi, addetti – pesa come una decisione di governo.