È una giornata cruciale quella che si apre sul destino dell’ex Ilva. Mentre i cancelli degli stabilimenti di Acciaierie d’Italia si chiudono per quattro ore in segno di protesta, i vertici sindacali e i rappresentanti del governo si ritrovano a Palazzo Chigi per un confronto che potrebbe ridefinire, o compromettere definitivamente, le prospettive del colosso siderurgico in amministrazione straordinaria. Lo sciopero nazionale indetto da Fim, Fiom e Uilm è tutt’altro che simbolico: incrociare le braccia nel momento esatto in cui si discute il futuro del più grande polo dell’acciaio italiano è un segnale preciso, un richiamo forte a scelte concrete e immediate.
Ex Ilva, tensione e attesa: sciopero nazionale e vertice a Palazzo Chigi. Il futuro appeso a un filo
A far detonare la protesta è stato l’incidente all’altoforno 1 dello stabilimento di Taranto, che ha portato al dimezzamento della produzione e all’annuncio di un raddoppio del ricorso alla cassa integrazione. Una crisi industriale che, secondo i sindacati, è diventata crisi occupazionale senza che vi sia stato un adeguato segnale politico. Da giorni Fim, Fiom e Uilm denunciano l’assenza di comunicazioni chiare sullo stato della trattativa con Baku Steel, il colosso azero in corsa per l’acquisizione dell’impianto. “Il quadro è disastroso”, sintetizzano i rappresentanti dei lavoratori, sottolineando la sospensione del Piano di Ripartenza per mancanza di risorse e l’opacità su tutti i fronti decisivi per il rilancio.
Urso: trattativa in corso, ma servono correzioni
Lunedì scorso il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha provato a rassicurare, dichiarando che il confronto con la cordata azera non si è interrotto. Ma ha anche ammesso che il piano industriale dovrà essere rivisto alla luce degli ultimi eventi. Una correzione di rotta obbligata, perché una produzione dimezzata significa anche una prospettiva occupazionale ridotta, e Baku avrebbe già ritoccato al ribasso l’offerta iniziale da 1,1 miliardi, riconsiderando il valore del magazzino, oggi stimato intorno ai 500 milioni.
Sindacati in pressing: servono garanzie
I sindacati si aspettano risposte precise nel faccia a faccia con Urso. Non solo aggiornamenti, ma decisioni operative. In assenza di certezze, non si esclude una nuova mobilitazione, ancora più ampia. Sul tavolo, oltre alla continuità produttiva, c’è la sopravvivenza stessa del perimetro occupazionale. Le parole non bastano più. Per questo lo sciopero assume un significato politico e sociale che va ben oltre la vertenza aziendale. Il ministro ha già messo in calendario un nuovo incontro per lunedì 26 maggio, convocando anche l’indotto al Mimit, ma il tempo si restringe.
L’acciaio italiano alla prova della politica
Il destino dell’ex Ilva, ancora una volta, si gioca su un crinale sottile: quello che separa le dichiarazioni di principio dalla volontà reale di intervenire. La crisi dell’impianto tarantino è diventata il simbolo di una sfida più ampia, quella della politica industriale del Paese, sospesa tra transizioni ecologiche, urgenze occupazionali e fragilità infrastrutturali. E oggi, nella piazza e nelle stanze del potere, si misura la distanza – o la possibile convergenza – tra chi produce acciaio e chi è chiamato a decidere se quell’acciaio continuerà a essere parte del futuro industriale italiano.