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Gerusalemme Est, l’incursione nelle librerie: la cultura sotto assedio

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Gerusalemme Est, l’incursione nelle librerie: la cultura sotto assedio

A Gerusalemme Est, l’occupazione non è solo una questione di muri, checkpoint e scontri di strada. È anche una battaglia per le idee, per la narrazione della storia, per il diritto a leggere e scrivere la propria identità. L’irruzione della polizia israeliana nella Educational Bookshop e nella seconda libreria della famiglia Muna è l’ultimo segnale di una strategia più ampia: colpire la cultura, perché la cultura è resistenza.

Gerusalemme Est, l’incursione nelle librerie: la cultura sotto assedio

Nella notte tra il 10 e l’11 febbraio, le forze di sicurezza israeliane hanno fatto irruzione nella celebre libreria, confiscando decine di volumi e arrestando i due proprietari. Inizialmente accusati di incitamento all’odio, il capo d’accusa è stato poi ridimensionato a disturbo della quiete pubblica. Ma il punto resta: la chiusura degli spazi di dibattito palestinesi continua senza sosta, con la censura che si trasforma in repressione diretta.

La Educational Bookshop: più di una libreria
Per capire la portata di questo blitz, bisogna comprendere cosa rappresenta la Educational Bookshop. Non è solo un luogo di vendita di libri, ma un simbolo della presenza culturale palestinese in una città sempre più soffocata da misure restrittive.

Fondata dalla famiglia Muna, la libreria è un punto di riferimento per studiosi, giornalisti, diplomatici e attivisti che cercano testi critici sulla situazione in Palestina. Qui si trovano saggi sulla Nakba, analisi sul sionismo, studi sulle politiche israeliane nei territori occupati, ma anche narrativa e poesia palestinese, spesso voci di denuncia in un contesto sempre più polarizzato.

Negli ultimi anni, la libreria ha subito pressioni crescenti. Non è la prima volta che le autorità israeliane ne limitano l’attività. Il timore è che qualsiasi forma di racconto alternativo alla narrazione ufficiale possa minare l’ordine imposto.

Sequestrare i libri, soffocare la memoria
La storia insegna che i regimi più repressivi temono i libri più delle armi. Il gesto di sequestrare decine di volumi non è un atto casuale. È un messaggio chiaro: certe idee non devono circolare, certe storie non devono essere raccontate.

Non è la prima volta che accade in Palestina. Nel corso degli anni, le autorità israeliane hanno più volte chiuso centri culturali palestinesi, vietato eventi pubblici, interrotto conferenze. Anche le scuole non sono state risparmiate: il sistema educativo palestinese a Gerusalemme Est è sotto costante minaccia, con tentativi di sostituire i programmi scolastici con versioni edulcorate che eliminano ogni riferimento alla resistenza o all’occupazione.

Ma quali libri fanno paura? Perché è così pericoloso permettere ai palestinesi di leggere, scrivere, raccontare la loro storia? La risposta è semplice: perché la narrazione è potere. Chi controlla il racconto, controlla la percezione della realtà.

Gerusalemme Est: una città sempre più chiusa
L’incursione nelle librerie si inserisce in un contesto di crescente repressione a Gerusalemme Est. Da anni, la politica israeliana punta a trasformare la città in una capitale esclusivamente israeliana, riducendo al minimo la presenza palestinese, sia demograficamente che culturalmente.

Le restrizioni alla libertà di movimento, le demolizioni di case, le revoche dei permessi di residenza sono strumenti utilizzati per rendere la vita impossibile ai palestinesi. Ma c’è un livello più sottile di controllo: quello che colpisce la cultura, l’istruzione, la memoria collettiva.

Eliminare i libri è un modo per riscrivere la storia. Se non si può leggere la Nakba, allora forse non è mai avvenuta. Se non si può studiare il colonialismo di insediamento, allora forse l’occupazione non è un problema. Ma cancellare una storia non significa farla scomparire.

Un messaggio al mondo
L’irruzione nella Educational Bookshop non è solo un attacco a una libreria. È un segnale per tutti coloro che cercano di mantenere viva una memoria, un’identità, una resistenza non violenta basata sul sapere e sulla parola scritta.

Le immagini dei libri sequestrati fanno il giro del mondo e pongono una domanda fondamentale: può esistere una soluzione politica senza il riconoscimento della cultura dell’altro? Può esserci pace se una delle due parti viene privata della possibilità di raccontarsi?

Questi interrogativi restano aperti, mentre a Gerusalemme Est si continua a combattere una guerra che non si svolge solo nei vicoli della Città Vecchia, ma anche tra le pagine di un libro.

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