Il Giappone ha eseguito la sua prima pena di morte dal 2022 impiccando Takahiro Shiraishi, conosciuto dai media come il ‘killer di Twitter’. L’uomo, 34 anni, era stato condannato per aver attirato e ucciso nove persone, prevalentemente donne giovani, tra agosto e ottobre del 2017, dopo averle contattate tramite i social. I suoi crimini, scoperti in un appartamento di Zama, a sud di Tokyo, avevano sconvolto il Paese per l’efferatezza e la freddezza con cui erano stati compiuti, e avevano scatenato un dibattito nazionale sull’uso dei social media e sulla salute mentale.
Giappone, prima esecuzione dal 2022: impiccato il ‘killer di Twitter’
Il caso emerse quando la polizia, indagando sulla scomparsa di una ragazza, trovò nell’abitazione di Shiraishi resti umani suddivisi in contenitori frigoriferi. L’uomo aveva ammesso subito i delitti, affermando di aver cercato le vittime su Twitter selezionando persone con tendenze suicide. “Volevo approfittare della loro vulnerabilità”, disse durante il processo. La modalità con cui selezionava le vittime, promettendo loro comprensione o aiuto per porre fine alla vita, rese il caso ancora più agghiacciante. Nonostante una linea difensiva che puntava all’infermità mentale, la corte lo giudicò pienamente responsabile, condannandolo a morte nel 2020.
L’esecuzione e il sistema giapponese
Il ministero della Giustizia di Tokyo ha confermato l’impiccagione, avvenuta all’alba, nella casa circondariale di Tokyo. La procedura è stata avvolta, come da prassi, nella più totale riservatezza: la famiglia del condannato e il suo avvocato sarebbero stati informati solo poche ore prima. In Giappone, il sistema delle esecuzioni resta uno dei più opachi tra quelli delle democrazie avanzate. I detenuti nel braccio della morte, una trentina circa, non sanno mai con certezza il giorno dell’esecuzione, che avviene senza preavviso né possibilità di commiato per i familiari. Anche in questo caso, i dettagli ufficiali sono stati diffusi solo dopo che la sentenza è stata eseguita.
Una pena sostenuta dall’opinione pubblica
Nonostante le pressioni internazionali e gli appelli di organizzazioni come Amnesty International, il Giappone continua a mantenere la pena capitale, sostenuto da una maggioranza dell’opinione pubblica. Secondo sondaggi recenti, oltre il 70% dei cittadini giapponesi ritiene che la pena di morte sia necessaria per i crimini più efferati. Il caso di Shiraishi ha rafforzato questa convinzione: la ferocia dei delitti, il numero delle vittime e la premeditazione dimostrata hanno lasciato un segno profondo nella società. La ministra della Giustizia, Riko Fukuda, ha dichiarato che l’esecuzione “è stata eseguita in conformità con la legge e dopo un attento esame del caso”.
Un dibattito acceso su giustizia e prevenzione
L’esecuzione ha riacceso il dibattito interno sul ruolo della pena di morte e sul funzionamento del sistema giudiziario. Le associazioni per i diritti umani denunciano la mancanza di trasparenza e l’eccessiva rigidità delle procedure, mentre diversi intellettuali chiedono una revisione del codice penale, che in molti punti risale ancora al periodo Meiji. Al centro del dibattito anche l’uso dei social media per adescare le vittime: dopo il caso Shiraishi, il governo ha introdotto alcune misure di monitoraggio dei contenuti su Twitter e altre piattaforme, ma molti ritengono che la regolamentazione sia ancora insufficiente. “La tecnologia ha superato la nostra capacità di proteggere i più vulnerabili”, ha affermato un parlamentare dell’opposizione.
Memoria delle vittime e impatto sociale
Le famiglie delle vittime, che avevano chiesto giustizia, hanno accolto l’esecuzione con parole di sollievo ma anche di dolore. “Nulla ci restituirà ciò che abbiamo perso”, ha detto il padre di una delle ragazze uccise. La città di Zama, teatro della vicenda, ha istituito un fondo per il sostegno psicologico ai familiari delle vittime di crimini violenti, mentre nelle scuole locali sono stati avviati percorsi educativi sui rischi legati all’uso dei social. Il trauma lasciato dal caso Shiraishi continua a farsi sentire nella società giapponese, e la sua esecuzione, pur vista da molti come atto di giustizia, riapre ferite mai completamente rimarginate.