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Inflazione, prezzi e crisi energetica: torna lo spettro delle proteste di piazza

- di: Redazione
 
Inflazione, prezzi e crisi energetica: torna lo spettro delle proteste di piazza
Basta dare un'occhiata ai titoli di giornali e siti per raccogliere, idealmente, un florilegio di notizie che riguardano il montare impetuoso della rabbia della gente. Che non è solo fine a sé stessa, ovvero un'esplosione di sentimenti che nascono soprattutto dall'impotenza, dal non potersi opporre ad uno stato di cose che serve solo ad aumentare l'esacerbazione degli italiani, di tutti, perché, ciascuno per il suo ruolo nella società, si sente sempre più messo all'angolo, testimone disarmato di quanto gli passa per la testa.
È un momento delicato per il nostro Paese non tanto per le crisi che stiamo attraversando, quanto per il fatto che, pur con tutta la buona volontà, non si intuiscono margini per uscire da esse, e non soltanto per colpe nostre.

Ritornano le proteste in piazza per inflazione e rincaro di prezzi ed energia

Il governo Draghi è nato con un preciso mandato, guidare il Paese nella delicatissima fase in cui le sorti dell'Italia non erano più nelle nostre mani, ma dipendevano da come l'Europa avrebbe valutato il nostro sforzo per meritare i fondi da fare confluire nel Pnrr.
Ma vai a pensare che, dopo la devastante pandemia, ci sarebbe stata la crisi energetica scatenata dall'invasione dell'Ucraina, con i rubinetti del gas russo quasi chiusi e noi a guardarci a destra e manca per trovare delle alternative che si stanno dimostrando affatto favorevoli. Perché chi ci può guadagnare lo fa, senza andare tanto a guardare le condizioni di chi va a chiedere, quasi pregando, e per questo rendendosi vulnerabile o, peggio, ricattabile.

Il timore che vediamo - e che in molti, purtroppo, sottovalutano - è che la protesta vada oltre e, radicalizzandosi, ridia vita a fenomeni che ritenevamo da tempo risolti. Perché, nel ventre della protesta, c'è chi si muove con altri obiettivi che non siano solo quelli di manifestare rabbia o malcontento. Se la protesta di matrice economica può essere giustificata e compresa (pensiamo agli agricoltori, ai camionisti, tanto per citare solo un paio di categorie colpite profondamente dalla crisi), non altrettanto accadrà se essa salirà di tono ed intensità, spingendo qualcuno - magari una piccolissima minoranza - a scegliere la strada della violenza a discapito del dialogo. Una violenza di strada alla quale lo Stato dovrà rispondere con le armi in suo possesso e che, negli anni bui del terrorismo (di destra o sinistra, poco importa), ebbero successo trattandosi di piccoli nuclei, anche se pericolosi. Ma se la rabbia investe vasti strati di popolazione e la protesta alza i suoi toni, il rischio è che a scendere in piazza siano in tantissimi e che, tra essi, attecchisca la malapianta della violenza cieca, quella che sceglie bersagli sono per il loro valore di ammonimento. Ma, dobbiamo a questo punto chiedercelo, senza tanta accondiscendenza verso l'italica propensione alla lamentela: c'è un pericolo reale che riesploda la violenza terroristica?

I presupposti sono diversi tra il presente e il passato, tra un oggi di mormorii e rivendicazioni ancora civili rispetto a quello che vide un fiorire scomposto di formazioni eversive che ritenevano che quanto più violente esse si dimostrassero, tanto più avrebbero allargato la loro base, nella speranza di scatenare la rivolta.
Chi ha memoria diretta di quegli anni ricorda bene come la prima cosa che si faceva, ogni mattina, in un periodo in cui Internet era appena un sogno, era accendere la radio per sapere contro chi si era scatenata la mano del terrorismo armato, che spesso era di borghesi, di studenti, fianco docenti, talvolta anche di ricchi, con pochissimi rappresentanti di quella classe operaia che ambiva ad andare in paradiso. La chimica che si creò trenta e più anni fa oggi forse è non ripetibile, ma le condizioni perché la rabbia esploda ci sono tutte.

Nicola Piepoli (quella dell'esperto di sondaggi è solo una delle sue specializzazioni), in una intervista a Libero, ha ammonito che ''potrebbe ripetersi quello che avvenne negli anni di piombo. Tra l'astensione (in occasione delle elezioni, ndr) e prendere una pistola per uccidere o ferire qualcuno del 'sistema' , oppure farlo prigioniero, il passo è breve. Specialmente se c'è miseria che avanza''. Una considerazione che si deve rispettare, per l'autorevolezza di Piepoli, ma pensare che quel passo tra la protesta e la violenza armata è forse troppo.
Nessuna percezione di una possibile ''rivolta di massa', ma, ha aggiunto, ''poche frange marginali bastano. Quelli che negli anni di piombo scelsero di sparare non erano più di mille: una cifra ridicola, sui milioni e milioni di italiani. Eppure colpirono il Paese al cuore''.

Dopo la presa di consapevolezza della follia del disegno terroristico, anche da parte della maggioranza di chi si sollevò, in armi, contro lo Stato, il Paese sembra avere saputo creare gli anti-corpi che rendono la democrazia più forte delle parole. Ma questo non significa che lo Stato, e per esso il governo, debbano attivarsi per evitare che, domani, ci si interroghi su quel che andava fatto e non è stato.
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