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La bicicletta, l’equilibrio e l’Europa che ha smesso di muoversi

- di: Bruno Chiavazzo, giornalista e scrittore
 
La bicicletta, l’equilibrio e l’Europa che ha smesso di muoversi
La bicicletta, l’equilibrio e l’Europa che ha smesso di muoversi
Dalla metafora di Einstein all’immobilismo politico dell’Unione europea.

Nella palestra che frequento a Roma, su una parete, c’è un’enorme scritta che recita: «La vita è come andare in bicicletta: se vuoi stare in equilibrio, ti devi muovere». La scrisse Albert Einstein in una lettera al figlio Eduard nel 1930.

Non voleva impartire una lezione accademica, né fare il papà moralista; stava semplicemente cercando di incoraggiarlo, alla sua maniera, con una frase che contiene più psicologia di un manuale intero. Perché quella metafora fotografa ciò che tutti sperimentiamo quando restiamo fermi troppo a lungo: inciampiamo nei nostri stessi pensieri. L’equilibrio, infatti, non è un punto stabile che raggiungi e poi mantieni senza sforzo. È qualcosa che si costruisce nel movimento, sbagliando, correggendo e riprovando.

Mi è venuta in mente dopo la maratona europea per decidere cosa fare per l’Ucraina: utilizzare gli asset russi congelati o procedere a un prestito, sapendo benissimo che gli ucraini non lo potranno mai restituire. Si è scelta la seconda strada, tanto per prendere tempo, mentre Putin, senza pensarci un secondo, ha trasferito già da tempo nelle casse russe tutti i beni europei e li sta utilizzando per sostenere la sua guerra imperialista.

È un dato di fatto l’immobilismo europeo a fronte di Stati Uniti, Cina e Russia che, a dispetto di tutte le convenzioni internazionali, perseguono con determinazione i loro scopi di annessione e intimidazione, mentre noi europei continuiamo a guardarci l’ombelico pensando a quello che fummo e che più non siamo.

È bastato un fuori di testa come Trump e i carri armati di Putin ai nostri confini per ritrovarci per quello che siamo: un vaso di coccio in mezzo a vasi d’acciaio. Ci siamo crogiolati per decenni appaltando la nostra difesa e indipendenza all’ombrello militare americano, finché quell’ombrello è stato chiuso.

Grazie alla “statista” Merkel abbiamo legato i destini della nostra industria al gas e al petrolio russo come se non dovessero mai finire. Ma, come diceva Leonardo Sciascia: «Tutti i nodi vengono al pettine, soprattutto quando c’è il pettine» e, adesso che il pettine è arrivato, sembriamo quei topolini nelle gabbie attraversate dalla corrente elettrica.

Non ci muoviamo per raggiungere un equilibrio comune, ma corriamo in ordine sparso nella speranza di salvarci. Ma al di fuori di una vera unità d’intenti, obiettivi precisi, difesa comune e autonoma, non c’è salvezza, c’è solo la scelta della lunghezza della catena del padrone al quale dobbiamo sottostare e obbedire.

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