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Rekeep, Levorato: "Riqualificazione energetica degli edifici: serve una partnership pubblico-privato"

- di: Redazione
 
Rekeep, Levorato: 'Riqualificazione energetica degli edifici: serve una partnership pubblico-privato'

Nell’intervista a Claudio Levorato, Presidente di Rekeep, vengono analizzate le sfide della nuova direttiva europea EPBD sull’efficienza energetica degli edifici, denunciando il rischio che resti inapplicata senza una forte azione dei governi. Al centro della sua proposta c’è il partenariato pubblico-privato (PPP), da considerare un alleato strategico e non un nemico ideologico. Levorato evidenzia i limiti del modello PNRR, che ha frammentato gli investimenti e rilancia la necessità di un piano nazionale per la riqualificazione, con criteri di giustizia sociale. Parla anche di tecnologie abilitanti, intelligenza artificiale e impatto ESG nel facility management, indicando la digitalizzazione come leva per trasparenza, efficienza e sostenibilità.

Rekeep, Levorato: "Riqualificazione energetica degli edifici: serve una partnership pubblico-privato"

Presidente, l’Europa ha tracciato una rotta chiara con la direttiva EPBD. È davvero la svolta che serviva o rischia di restare inapplicata senza un’azione forte da parte dei governi?
La nuova direttiva EPBD rappresenta senza dubbio una svolta attesa e necessaria, soprattutto se consideriamo il patrimonio immobiliare pubblico, che dovrebbe essere d’esempio per la collettività. L’Unione Europea ha fissato obiettivi concreti per affrontare l’impatto ambientale del settore edilizio, che da solo è responsabile del 40% del consumo finale di energia e del 36% delle emissioni di gas serra legate all’energia, con il 75% degli edifici nell’Unione ancora inefficiente dal punto di vista energetico. L’obiettivo della direttiva è, quindi, ambizioso: ridurre progressivamente le emissioni e i consumi energetici degli edifici entro il 2030, per arrivare a un parco immobiliare a emissioni zero entro il 2050. In questa direzione, è previsto che gli Stati membri ristrutturino almeno il 16% degli edifici non residenziali con le peggiori prestazioni entro il 2030, e il 26% entro il 2033, introducendo requisiti minimi di efficienza energetica. Ora ogni Stato membro, Italia compresa, deve adottare un piano nazionale per la riduzione dei consumi energetici, individuando le priorità di intervento, a condizione che almeno il 55% della riduzione complessiva derivi dalla riqualificazione degli edifici meno performanti. Senza un’azione concreta e determinata a livello nazionale, il rischio è che questa importante cornice europea resti inattuata.

Il partenariato pubblico-privato è al centro della vostra proposta. Ma l’Italia è davvero pronta, anche sul piano culturale e normativo, a considerare il privato un alleato strategico nella gestione del patrimonio pubblico?
Il partenariato pubblico-privato è uno strumento fondamentale per attuare in modo rapido ed efficace gli investimenti necessari in un ambito complesso come quello della riqualificazione del patrimonio edilizio pubblico. Lo riconosce anche la nuova EPBD, che invita gli Stati a promuoverne l’utilizzo per sostenere la mobilitazione degli investimenti necessari per centrare gli obiettivi della Direttiva. In Italia, però, c’è ancora un certo ritardo nell’abbracciare pienamente questa logica. Eppure, i vantaggi del PPP sono evidenti. Il privato sostiene gli investimenti necessari per un determinato progetto e, allo stesso tempo, deve effettuare gli interventi presto e bene se vuole rientrare dei costi sostenuti. In settori che conosciamo bene, come la gestione energetica degli edifici pubblici, questo modello funziona: l’azienda sanitaria o il Comune affidano al privato, ad esempio, la gestione completa degli impianti di riscaldamento/raffreddamento ad un canone uguale o inferiore alla spesa storica sostenuta per il medesimo servizio; il privato effettua gli interventi di efficientamento (la sostituzione di una centrale, il cappotto, etc.) in modo tale da garantire minor consumi e minori costi; la differenza tra canone percepito e costi di gestione post-efficientamento rappresenta il ritorno dell’investimento del privato. Serve però un cambio di passo, culturale prima ancora che normativo. Dobbiamo iniziare, infatti, a considerare il privato come un alleato strategico per la modernizzazione e la sostenibilità del nostro patrimonio immobiliare pubblico.

Nel dibattito sulla transizione si parla di fotovoltaico, meno di edifici pubblici. Perché secondo voi la politica continua a trascurare la leva dell’efficientamento?

La produzione di energia da fonti rinnovabili è senz’altro una componente fondamentale della transizione energetica ed è naturale che riceva molta attenzione nel dibattito pubblico. Tuttavia, la politica tende spesso a dimenticare che, come si dice, “l’energia più pulita è quella che non si consuma” e che una transizione completa passa anche e in larga parte da una gestione ordinaria efficiente dei consumi di energia degli edifici pubblici. La riqualificazione energetica degli immobili, infatti, rappresenta una leva potente e spesso sottovalutata, in grado di ridurre le emissioni, generare risparmi immediati e migliorare la qualità dei servizi per i cittadini.

Avete definito il modello del PNRR dispersivo. Che tipo di governance servirebbe per coordinare davvero un piano nazionale di riqualificazione, garantendo coerenza, visione, continuità amministrativa e un uso più efficiente delle risorse disponibili?

Il modello del PNRR si è rivelato dispersivo perché basato su una molteplicità di gare frammentate tra migliaia di soggetti attuatori. Per il patrimonio immobiliare pubblico sarebbe servito un vero e proprio piano nazionale focalizzato, ad esempio, come avevamo suggerito, sugli immobili degli enti locali, scuole in primis. Lo strumento del PPP avrebbe, inoltre, consentito di aumentare l’ammontare degli investimenti grazie al contributo privato ed esteso ai privati stessi il rispetto dei tempi realizzativi e parte del rischio di credito, con maggior effetto di produttività aggregata. Per raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati a livello europeo, ora è fondamentale non ripetere gli errori del passato e lasciare spazio a politiche che guardino ai privati come partner del pubblico. Serve, in sostanza, un piano programmatico che coinvolga pubblico, privato, investitori istituzionali e sistema bancario.

Il vostro modello PPP ha già prodotto risparmi rilevanti. Quali progetti considerate emblematici e quali ostacoli restano oggi alla sua piena applicazione?

Abbiamo già avviato diversi progetti che dimostrano concretamente l’efficacia del modello. Ad esempio, in molti Comuni di medie e piccole dimensioni – come Casalecchio di Reno e Anzola dell’Emilia – siamo riusciti a ridurre i consumi energetici di oltre il 20%, realizzando interventi di riqualificazione su scuole, uffici pubblici e palestre che hanno prodotto benefici evidenti in termini di efficienza e sostenibilità per un valore complessivo superiore ai 3 milioni di euro, interamente sostenuto da noi. In ambito sanitario, dove siamo impegnati, ad esempio all’Ospedale del Cuore di Massa e al Policlinico Sant’Orsola di Bologna, i risultati in termini di efficienza energetica possono essere potenzialmente ancora più significativi e si possono raggiungere riduzioni dei consumi fino al 50%. Restano tuttavia alcuni ostacoli alla piena applicazione del modello, legati soprattutto a resistenze culturali nei confronti degli attori privati e ad una ridotta formazione in particolare nei piccoli comuni, che spesso rende più complessa l’attivazione di questi strumenti.

Con oltre il 50% degli immobili pubblici costruiti prima degli anni ‘70, l’efficientamento può diventare anche uno strumento di giustizia sociale. Come evitare che le aree più fragili restino indietro? Quali criteri bisognerebbe adottare per concentrare risorse e priorità? E che ruolo può avere il social housing in questa strategia?

È fondamentale concentrare le risorse dove possono generare il maggior impatto sociale. Migliorare l’efficienza energetica degli edifici pubblici e del social housing rappresenta la migliore scelta strategica, sia sotto il profilo ambientale che economico. Intervenire su scuole, ospedali e uffici pubblici ha, inoltre, spillover positivi sui bilanci degli enti gestori, oltre a contribuire ad accrescere la qualità di vita in aree spesso dimenticate e a rendere potenzialmente più appetibile l’eventuale vendita degli immobili per destinare risorse a progetti per la collettività.

Digitalizzazione, AI e sostenibilità stanno trasformando il vostro settore. Quali tecnologie risultano oggi realmente abilitanti, e con quali strumenti si può misurare in modo efficace l’impatto ESG nel facility management, dove efficienza e innovazione si intrecciano con la qualità dei servizi?
Da diversi anni abbiamo istituito al nostro interno una struttura dedicata all’innovazione, che ha il compito di fare scouting tra startup innovative e sviluppare progetti di open innovation. Siamo infatti convinti che anche realtà consolidate come la nostra debbano rimanere aperte al confronto, esplorando nuove soluzioni e approcci innovativi. In questo contesto, il settore del facility management sta vivendo una trasformazione profonda, guidata dall’integrazione tra digitalizzazione, AI e sostenibilità. Tecnologie abilitanti come i sistemi di monitoraggio intelligente, i digital twin, i sensori IoT per l’efficienza energetica e le piattaforme predittive per la manutenzione stanno rivoluzionando i processi operativi, rendendoli più trasparenti, performanti e sostenibili. L’intelligenza artificiale, in particolare, rappresenta una delle leve più promettenti per affrontare le grandi sfide del nostro tempo – dalla sostenibilità ambientale all’inclusione – ma il suo sviluppo deve avvenire con responsabilità.

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