Non è stata solo una cena tra capi di governo né un incontro di routine nella lunga lista di bilaterali europei. Quello tra Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron è stato un confronto che aveva il compito preciso di chiudere, o almeno sospendere, una stagione di ostilità mai troppo nascoste.
Il gelo è finito (forse): Meloni e Macron si scoprono alleati d’interesse
Tre ore di colloquio a Palazzo Chigi, seguite da dichiarazioni misurate, senza enfasi ma nemmeno distacco, segnano il ritorno al dialogo tra due capitali che per mesi hanno marciato su binari divergenti. La foto dell’Eliseo illuminato con il tricolore dopo il naufragio di Cutro sembrava aver cristallizzato un’antipatia profonda. Ma il realismo geopolitico, come sempre, piega l’ideologia.
Ucraina, difesa europea e la comune paura dell’irrilevanza
Dietro le formule diplomatiche sul “sostegno incrollabile all’Ucraina” e l’impegno per “un’Europa più forte, prospera e sovrana”, il cuore dell’intesa sta tutto nella percezione condivisa di una debolezza strategica europea. L’America guarda altrove, la Russia preme, la Cina avanza. E se l’Europa vuole contare, deve fare da sola. Meloni e Macron arrivano da storie politiche lontane, ma condividono oggi la stessa urgenza: trasformare l’Unione da spazio burocratico a soggetto geopolitico. Il richiamo a “un ambizioso cambiamento di scala nella Difesa europea” non è solo retorica, ma il segno che Roma e Parigi sono pronte a rompere i tabù sull’autonomia strategica.
Sovranità sì, ma tecnologica
A cementare la tregua è anche l’economia. Auto, siderurgia, intelligenza artificiale: settori nei quali né l’Italia né la Francia possono competere da sole. L’intesa abbozzata tra Meloni e Macron nasce dunque più da interessi che da affinità. È una cooperazione di necessità, fondata sulla consapevolezza che se non si costruisce un’industria continentale, l’Europa verrà tagliata fuori dai grandi giochi globali. Non è amore politico, ma mutuo soccorso. E in politica estera, spesso, è sufficiente.
Un linguaggio cambiato, anche se resta la diffidenza
Non c’è stato trionfalismo né annuncio eclatante. Nessuna promessa solenne, ma un tono nuovo: sobrio, dialogante, pragmatico. Meloni ha evitato i toni barricadieri, Macron ha lasciato a casa il piglio pedagogico. Una normalizzazione, forse fragile, ma visibile. Il vero cambio è nel linguaggio: dopo mesi di polemiche su migranti e ideologie, il lessico è tornato istituzionale. Lontano dai sospetti reciproci, vicino agli obblighi della realtà.
Macron legittima Meloni, Meloni offre stabilità
Per Macron, sedersi con Meloni ha un costo simbolico: dialogare con chi guida una maggioranza che include Fratelli d’Italia significa accettarne il ruolo politico europeo. Ma è un costo calcolato: Meloni oggi è uno dei pochi capi di governo stabili in un’Europa scossa da elezioni e crisi. Per Meloni, l’incontro serve a rafforzare l’immagine di leader responsabile, capace di interloquire alla pari con le grandi capitali. Entrambi ne escono rafforzati nei rispettivi teatri interni, senza cedere nulla nei principi, ma concedendo molto sul piano pratico.
Il futuro? Un equilibrio tra sfiducia e convergenze
Il prossimo bilaterale è previsto all’inizio del 2026. Ma il test vero sarà quello dei prossimi mesi: il bilancio europeo, le elezioni continentali, la gestione del conflitto ucraino. Il vertice di Roma non è l’inizio di una nuova amicizia, ma la presa d’atto che nessuno può permettersi nuove fratture in un’Europa fragile. È l’Europa delle alleanze contingenti, dei compromessi silenziosi, dei nemici che diventano partner per non affondare insieme. Forse è poco romantico. Ma è la politica, quella vera.