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Osservatorio CPI/ Italia a rischio estinzione: così salta il welfare

- di: Bruno Coletta
 
Osservatorio CPI/ Italia a rischio estinzione: così salta il welfare
L’analisi dell’Osservatorio CPI: nel 2100 ci saranno meno italiani che nel 1861, servono 13,5 milioni di immigrati entro il 2050, flussi regolari e pianificati o l’intero sistema sociale crollerà.
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Nel 2100 l’Italia rischia di avere meno abitanti di quelli registrati all’indomani dell’unità nazionale. Ma soprattutto, rischia di non avere più lavoratori a sufficienza per sostenere pensioni, sanità, scuola e servizi pubblici. È uno scenario allarmante, ma perfettamente documentato, quello presentato dall’Osservatorio Conti pubblici italiani, in una nuova indagine firmata da Giampaolo Galli (foto), Nicolò Geraci e Francesco Scinetti. Il nodo è uno solo: senza un piano migratorio strutturato, il Paese non reggerà la transizione demografica già in atto.
Come affermano Galli, Geraci e Scinetti,
se l’Italia continuerà a contare solo su se stessa, perderà oltre 10 milioni di abitanti ogni 25 anni. E questo anche assumendo un leggero aumento della natalità. In altre parole, la popolazione crollerà sotto i 50 milioni già nel 2050 e sotto i 30 milioni nel 2100. “È uno scenario verosimile, non apocalittico”, spiegano i tre economisti dell’Osservatorio CPI, “basato sulle proiezioni del Working Group on Ageing della Commissione europea”.

Non bastano i figli: l’Italia invecchia e si svuota
La drammatica riduzione demografica è già in corso: dal picco del 2014 (60,8 milioni di abitanti), siamo scesi sotto i 59 milioni nel 2024, con un’età media di 46,4 anni. “In soli vent’anni – puntualizza il report dell’Osservatorio CPI – l’indice di vecchiaia è raddoppiato: oggi ci sono due over 65 per ogni under 15”. E la natalità è ai minimi storici: 370mila nati nel 2024, contro oltre un milione nel 1964.
Anche in uno scenario ottimistico, in cui la fertilità sale progressivamente da 1,24 figli per donna a 1,56 nel 2100, il declino demografico resta severo. Per evitarlo, come evidenziano Galli, Geraci e Scinetti, occorre compensare ogni milione di italiani che scompare con un equivalente afflusso di nuovi immigrati. E i numeri sono impressionanti.

Servono almeno 13,5 milioni di nuovi immigrati entro il 2050
Per conservare la popolazione attiva (cioè la fascia 20-67 anni, essenziale per il funzionamento del welfare), sarebbero necessari 350mila immigrati netti l’anno fino al 2035, e 480mila all’anno entro il 2050. Il totale fa 13,5 milioni di ingressi netti nei prossimi 25 anni. Solo così si potrà tenere il sistema in equilibrio.
In caso contrario, la quota di lavoratori sul totale della popolazione passerà dal 62% del 2023 al 49% nel 2100, con un carico sociale insostenibile. Come spiegano Galli, Geraci e Scinetti, “non è solo un problema quantitativo, ma di bilancio generazionale: senza un numero sufficiente di contribuenti, il welfare collassa”.
E non si tratta solo di salvare le pensioni. L’impatto si farà sentire su scuole, ospedali, trasporti, finanza pubblica, e su tutta la produttività del Paese.

Flussi attuali troppo deboli: siamo a un terzo del necessario
I decreti flussi attualmente in vigore – come puntualizza il report – prevedono appena 151mila permessi per il 2024, cifra che salirà a 165mila nel 2025. Ma il fabbisogno stimato per mantenere stabile la popolazione è di almeno 450mila ingressi lordi all’anno fino al 2035. Questo significa che l’attuale politica migratoria copre appena un terzo del necessario.
E anche volendo compensare solo la perdita di popolazione complessiva (senza considerare l’equilibrio tra età), servirebbero comunque oltre 10 milioni di nuovi immigrati entro il 2050, e 30 milioni entro il 2100. In questo scenario, la componente immigrata diventerebbe maggioritaria nella seconda metà del secolo. Ma, come sottolineano Galli, Geraci e Scinetti, “un obiettivo più realistico è conservare il peso della popolazione in età lavorativa sul totale, che richiede numeri più sostenibili: il 35% della popolazione sarebbe di origine immigrata nel 2100”.

La sfida è doppia: programmare meglio e integrare di più
L’Osservatorio CPI non si limita ai numeri. Denuncia anche l’assenza totale di pianificazione. L’ultimo documento programmatico triennale del Governo sull’immigrazione risale al 2005. Da allora, la politica si è limitata a rinnovare decreti annuali spesso emergenziali.
Nel frattempo, è cresciuta l’immigrazione irregolare: oltre un milione di ingressi non autorizzati negli ultimi dieci anni, secondo i dati del Viminale. E anche per questo – sottolineano gli autori – il tasso di crescita della popolazione straniera residente si è quasi azzerato, scendendo dal 9,9% annuo (2000-2014) allo 0,8% dell’ultimo decennio.
Per invertire la rotta servono quote più alte, ma anche una nuova strategia per l’integrazione, capace di garantire occupazione regolare, percorsi di cittadinanza e accesso ai servizi.

Investire su capitale umano e tecnologia: l’alternativa alla decadenza
Galli, Geraci e Scinetti mettono in chiaro che la sfida demografica non si vince solo con l’immigrazione, ma anche con più produttività. “Più i processi saranno efficienti, meno sarà necessario aumentare la forza lavoro”, scrivono nel report. E aggiungono: “La qualità delle istituzioni, della formazione e del capitale umano sarà decisiva per affrontare i prossimi decenni”.
La demografia, in definitiva, non è un destino, ma un indicatore da leggere politicamente. L’Italia può scegliere se affrontare la realtà con lucidità o lasciarsi travolgere da una decadenza silenziosa. Ma il tempo è finito: come sottolinea l’Osservatorio CPI, o si cambia passo subito, o nel giro di una generazione il sistema salterà.

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