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Parlare di pace, prof. Rovelli, scoprendo oggi l'industria delle armi, non significa avere ragione

- di: Redazione
 
Parlare di pace, prof. Rovelli, scoprendo oggi l'industria delle armi, non significa avere ragione
Fatta qualche eccezione (nel mondo si aggirano sempre dei pazzi furiosi), tutti amano la pace, tutti vogliono che la concordia e il rispetto reciproco presiedano ad ogni azione dell'Uomo. Poi, però, c'è la guerra che è sempre esistita e, a meno di miracoli, sempre esisterà, a dispetto della cultura e della storia e di popoli e nazioni. Ora, se tutti si augurano che ci sia sempre e ovunque la pace, ci sono delle cose che la stessa pace porta in sé, come, ad esempio, che per difenderla non si può fare solo appello alle parole, perché l'avversario ricorre ai fatti.

Parlare di pace, prof. Rovelli, scoprendo oggi l'industria delle armi, non significa avere ragione

Se vuoi la pace, prepara la guerra, dicevano i latini, e questo concetto, ineccepibile nella sua essenzialità, ha consentito a popoli e Paesi di vivere senza conflitti armati, grazie all'equilibrio della paura.
Carl von Clausewitz, generale e saggista, scrisse nel suo ''Della Guerra'', testo fondamentale per comprendere la dinamica dei conflitti tra Paesi, che essa ''non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi''.
Si dirà che sono frasi come tante e che ce ne sono molte di più a sostegno dell'efficacia della pace. Ma ci sono delle evidenze costanti, che non si scoprono oggi su questo delicatissimo tema, che tanto appassiona chi vuole restare sul piano della teoria, non considerando che poi si deve fare i conti con il mondo reale.
Un dibattito che è vecchio come il mondo, sin da quando Abele uccise Caino o Romolo fece lo stesso con Remo, interrogandoci ancora oggi su come sarebbero stati diversi la religione e il mondo se a prevalere fossero stati i due che hanno attaccato per primi.

Poi, all'improvviso, senza dare a chi si accusa la possibilità di rispondere sul momento, si sostengono argomenti e si sottolineano eventi approfittando di una enorme platea, per dare corpo alle proprie argomentazioni. Come ha fatto il fisico Carlo Rovelli che, dal palco del Concerto per la Festa dei lavoratori, ha sparato a pale incatenate contro le spese militari, alzando poi il tiro contro l'industria italiana degli armamenti e il ministro della Difesa, Guido Crosetto, in particolare. Le cose che Rovelli ha detto fanno parte della grammatica pacifista (spese militari che sottraggono risorse a quelle per il popolo) e che possono anche essere oggetto di riflessione. Ma poi Rovelli ha ritenuto, lui che è fisico, di dovere entrare in un altro campo, quando ha detto che ''i potenti vogliono essere più potenti e come in Italia vogliono essere vassalli dei potenti, ma la guerra si fa anche perché costruire armi è una delle attività più lucrative del mondo". Non contento, Rovelli ha puntato il dito contro Crosetto dicendo che ''il Ministro della Difesa è stato vicinissimo a una delle più grandi fabbriche di armi nel mondo, presidente della federazione dei costruttori di armi'', aggiungendo, tanto per chiarire meglio il suo ragionamento, che ''il Ministero della Difesa deve servire per difenderci dalla guerra, non per fare i piazzisti di strumenti di morte. Tutti dicono pace, ma aggiungono che bisogna vincere per fare la pace, volere la pace dopo la vittoria vuol dire volere la guerra''. Su quest'ultimo argomento, comunque, Rovelli non ha spiegato come il Ministero della Difesa dovrebbe difenderci dalla guerra senza attrezzarsi con le armi, a meno di non considerare le parole capaci di blindarci da un razzo, una cannonata, anche un semplice proiettile.
Ora: massimo rispetto per il Rovelli fisico, che il mondo ci invidia, ma ci sembra che la sua elaborazione sia stata troppo semplicistica per uno che è abituato a ragionare su evidenze, e solo su quelle elaborare modelli e ipotesi.

Un conto è l'industria degli armamenti (nella quale l'Italia, anche con aziende come Leonardo, eccelle nel mondo, cosa che si traduce anche con utili che possono fare ribrezzo a qualcuno, ma lo si vada a dire alle migliaia di persone che da questa industria hanno da mangiare, non da lucrare), un altro sono gli sforzi per raggiungere la pace. Mischiando, in sostanza due argomenti che, a rigore di logica, sono e dovrebbero restare distinti.
Anche se è difficile da metabolizzare, Crosetto, nel momento in cui ha accettato di diventare ministro della Difesa (a riconoscimento della sua esperienza), ha tagliato ogni rapporto con l'industria degli armamenti e guai se pensassimo il contrario, ovvero che abbia ancora legami con essa, come pare Rovelli sia sicuro, etichettando l'esponente del governo di fare il ''piazzista di strumenti di morte'', frase di per sé durissima, anche nel caso si avessero sospetti. Resta poi da capire come Rovelli voglia sciogliere il nodo della reciprocità che sta alla base della pace, che è impossibile fare da soli, soprattutto quando ti puntano una rivoltella alla tempia.
Accorgersi ora che esiste chi fabbrica le armi perché c'è chi le compra e le usa è come avvedersi che esiste il giorno solo perché prima ci sono state le tenebre e prima ancora la luce. Un processo continuo e al quale solo qualche visionario pensa di potere scrivere la parola fine. Chi si appella oggi a Gandhi confonde il pacifismo con la resistenza passiva, cosa che oggi sarebbe solo folle pensare considerato che, come nel caso dell'Ucraina, chi ha scatenato la guerra non lo ha fatto pensando alla pace.
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