Tra consulenti, BCE e sindacati: la nuova banca nasce a tappe (e con qualche mina).
Se la finanza avesse un suono, in queste settimane sarebbe quello dei trapani: non per ristrutturare una filiale,
ma per montare pezzo dopo pezzo un gruppo che, sulla carta, cambia la mappa del credito italiano.
Il nuovo piano industriale del Monte dei Paschi di Siena è entrato nella fase operativa: tavoli di lavoro,
integrazioni da disegnare, scadenze regolamentari da rispettare. Ma anche una richiesta netta, arrivata da Siena:
aprire un confronto vero con i sindacati prima che le decisioni diventino irreversibili.
Il punto chiave è che la trasformazione non è un “clic”. È una maratona con passaggi obbligati: il via libera della vigilanza,
la riscrittura delle regole di governance, la scelta del timing sul delisting di Mediobanca, la definizione di cosa resta “Cuccia”
e cosa invece confluisce nella macchina commerciale del Monte.
Il cantiere: chi sta disegnando il nuovo gruppo
L’integrazione non si fa con gli slogan: si fa con organigrammi, processi, piattaforme IT, modelli di rischio e obiettivi commerciali.
È qui che entrano in scena i cantieri di lavoro che vedono coinvolti i vertici delle due banche insieme a consulenti esterni.
L’obiettivo è arrivare a un documento strategico in tempo utile per gli impegni con la vigilanza europea.
Da quanto emerso nei confronti interni, l’amministratore delegato Luigi Lovaglio ha ribadito due linee:
la centralità della rete commerciale Mps e la volontà di valorizzare brand e professionalità presenti nel perimetro.
Traduzione: non un “frullatore” che rende tutto indistinto, ma una costruzione per blocchi, dove alcune attività restano riconoscibili.
Il calendario vero: gennaio, primavera, primo trimestre 2026
Nel risiko bancario le date contano quanto i miliardi. Il percorso prevede più snodi societari, non tutti immediati.
Un primo passaggio è atteso a gennaio, quando il consiglio dovrà esaminare le modifiche statutarie
necessarie per introdurre un meccanismo di lista del cda in vista del rinnovo del board in primavera.
Ma su questo dossier c’è un convitato di pietra: l’ok della BCE, ancora in fase di interlocuzione.
Poi c’è il tema più “politico” (in senso borsistico): il delisting di Mediobanca.
L’orizzonte indicato è di alcuni mesi: abbastanza per mettere ordine, valutare l’impatto sui mercati e chiudere i passaggi formali.
Infine, il traguardo regolamentare: il piano industriale dovrà essere presentato alla vigilanza
entro il primo trimestre 2026 e, a quel punto, verrà raccontato anche alla comunità finanziaria.
Che cosa resta Mediobanca (e che cosa migra su Mps)
Una delle scelte più delicate riguarda l’identità di Piazzetta Cuccia. L’impostazione che filtra è questa:
Mediobanca resta un’entità legale autonoma, con un proprio consiglio di amministrazione e un proprio marchio,
concentrata sulle attività “core” del private e del corporate investment banking.
La governance, intanto, è già stata ridisegnata: Vittorio Umberto Grilli è presidente e
Alessandro Melzi d’Eril amministratore delegato. È un tandem che segnala l’ambizione di tenere Mediobanca
su un profilo da banca d’affari e wealth management, senza trasformarla in un semplice “dipartimento” del Monte.
Parallelamente, alcune attività sono destinate a cambiare casa:
il risparmio gestito di Mediobanca Premier verrebbe integrato in Widiba,
mentre Compass (credito al consumo) verrebbe spinta nella rete retail Mps.
In altre parole: la fabbrica dei prodotti e la distribuzione vengono ripensate, con l’idea di far correre di più la macchina commerciale.
Sindacati: “Dialogo strutturato”. La banca: “Prima finiamo lo studio”
Sul fronte del lavoro, la parola che ricorre è una: metodo.
Le sigle chiedono un confronto “non episodico” ma strutturato sul piano industriale,
richiamando la tradizione negoziale storicamente radicata in Mps.
La risposta aziendale, per come viene ricostruita, è una apertura ma a tappe:
prima la fase di analisi e la stesura del documento, poi l’avvio del dialogo a livello di capogruppo.
È una linea prudente, ma anche rischiosa: più il piano prende forma senza confronto, più il confronto diventa un “prendere o lasciare”.
L’ombra dell’inchiesta e la partita dei soci
C’è poi un elemento che non è industriale, ma può diventare industrialissimo: il clima attorno all’operazione.
Nelle ultime settimane si è parlato dell’attenzione della magistratura milanese sulla scalata e delle reazioni nel mondo politico-istituzionale.
Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha negato interferenze e ha espresso fiducia in Lovaglio,
rivendicando una linea di tutela della stabilità del Monte e una riduzione della presenza pubblica.
In controluce resta la domanda che interessa il mercato: quanto il contesto (giudiziario, regolamentare, azionario)
può condizionare tempi e scelte? La risposta, oggi, è semplice: può condizionarli parecchio,
perché ogni passaggio cruciale (governance, delisting, piano) vive anche di percezione, non solo di numeri.
Non solo Mps: il risiko continua con Bper e, a febbraio, Intesa
La sensazione è quella di un domino: mentre il Monte costruisce il suo “terzo polo”, anche altri si muovono.
Bper lavora all’integrazione della Popolare di Sondrio, con accordi sul personale e un percorso di fusione
indicato per il 2026. E all’inizio di febbraio sono attese le nuove strategie di Intesa Sanpaolo,
che resta fuori dalle grandi fusioni ma non fuori dalla competizione.
Morale: il 2026 si annuncia come l’anno in cui le banche non presenteranno solo conti, ma nuove mappe.
E il cantiere Mps-Mediobanca è uno dei più osservati, perché promette sinergie, ma impone equilibrio: tra identità, rete, governance e lavoro.