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Pacifico conteso, l’Australia rilancia la sua sfida a Pechino

- di: Marta Giannoni
 
Pacifico conteso, l’Australia rilancia la sua sfida a Pechino
Pacifico conteso, l’Australia rilancia la sua sfida a Pechino
Dai trattati con Papua Nuova Guinea e Indonesia ai negoziati con Tonga, Figi e Vanuatu, Canberra si muove per restare il partner di sicurezza di riferimento nel Pacifico e non lasciare spazio alla Cina.

(Foto: la ministra degli Esteri australiana Penny Wong con Kaja Kallas, Alto rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri).

L’ordine è perentorio: l’Australia deve raddoppiare gli sforzi per restare il principale punto di riferimento per la sicurezza nel Pacifico. A dettarlo è la ministra degli Esteri Penny Wong, che da Canberra ha messo nero su bianco l’obiettivo politico: impedire che la Cina diventi il partner di sicurezza dominante nell’oceano che circonda l’Australia.

Davanti ai partecipanti alla conferenza nazionale dell’Australian Institute of International Affairs, Wong ha descritto il nuovo quadro strategico senza giri di parole. “La Cina continuerà a cercare di rimodellare la regione secondo i propri interessi”, ha avvertito, aggiungendo che “Russia, Iran e Corea del Nord proseguiranno nei tentativi di sabotare e destabilizzare”. Per questo, ha insistito, le potenze medie come l’Australia devono praticare una politica estera attiva e ambiziosa.

Un’Australia potenza media in versione “architetto”

Negli ultimi tre anni il governo laburista guidato da Anthony Albanese ha costruito, mattone dopo mattone, quella che Wong definisce una vera e propria “architettura” di sicurezza regionale. In un recente intervento, la ministra ha rivendicato come l’Australia possa essere non solo un attore reattivo ma un “architetto” di stabilità nell’Indo-Pacifico, grazie a una rete di accordi di sicurezza e difesa maturati con gli Stati insulari e con i grandi vicini asiatici.

Da quando i laburisti sono arrivati al governo nel 2022, Canberra ha siglato o aggiornato un numero crescente di intese: accordi innovativi con Papua Nuova Guinea, Tuvalu, Nauru e un nuovo trattato di sicurezza con l’Indonesia, mentre sono in corso i lavori finali per intese con Tonga, Figi e Vanuatu. Lo scopo è chiarissimo: rendere strutturale l’impegno australiano e rendere meno attraenti le offerte cinesi.

Wong non nasconde la durezza del contesto: “In una regione dove la competizione è costante, non è detto che le cose vadano sempre come speriamo. Ma continueremo a spingere in difesa del nostro interesse nazionale”, ha promesso.

Il trattato “Pukpuk” con Papua Nuova Guinea: una quasi alleanza

Il tassello più vistoso di questa strategia è il nuovo trattato di mutua difesa con Papua Nuova Guinea, ribattezzato “Pukpuk Treaty” dalla parola pidgin che indica il coccodrillo. Si tratta di un salto di qualità storico: il testo riconosce che un attacco armato contro uno dei due Paesi è considerato una minaccia per entrambi, portando il rapporto a un livello simile a una vera alleanza. :contentReference[oaicite:2]{index=2}

Il trattato si innesta sul precedente Accordo bilaterale di sicurezza Australia–Papua Nuova Guinea, già in vigore e pensato per rafforzare cooperazione, addestramento, polizia e sicurezza interna. Con il “Pukpuk” la cooperazione diventa ancora più profonda: il testo prevede una maggiore integrazione tra le forze armate, l’aumento degli scambi di personale e un imponente programma di investimenti australiani nelle capacità di difesa di Port Moresby.

Secondo analisi pubbliche, l’accordo consentirà a fino a 10.000 cittadini di Papua Nuova Guinea di arruolarsi nelle Forze armate australiane, contribuendo a colmare i vuoti di organico di Canberra e offrendo al tempo stesso un percorso professionale e, potenzialmente, un canale verso la cittadinanza australiana.

Un altro aspetto cruciale è la clausola che scoraggia accordi di sicurezza incompatibili con il trattato. Tradotto in geopolitica: Papua Nuova Guinea si impegna a non sottoscrivere intese militari che vadano in rotta di collisione con le nuove obbligazioni verso l’Australia. Un messaggio diretto a Pechino, alla luce del tentativo cinese di ampliare la propria impronta militare in Oceania.

Indonesia: un trattato di sicurezza per blindare il fianco nord

Sul fronte occidentale, il governo Albanese ha appena annunciato con Jakarta un nuovo Australia–Indonesia Treaty on Common Security, che sarà firmato ufficialmente all’inizio del prossimo anno. Il trattato è presentato come un ampliamento di due pilastri già esistenti: il Defence Cooperation Agreement del 2024 e il Trattato di Lombok del 2006, che stabiliva il rispetto reciproco di sovranità e integrità territoriale.

A differenza del patto con Papua Nuova Guinea, il trattato con l’Indonesia non prevede un obbligo automatico di intervento in caso di attacco, ma impegna i due Paesi a consultarsi in caso di minaccia e a intensificare la cooperazione militare, dagli esercizi congiunti allo scambio di informazioni.     

Per l’Australia è un risultato di peso: l’Indonesia è il vicino più grande e il fulcro geografico tra Oceano Indiano e Pacifico. Per Jakarta, che ha aderito al gruppo dei BRICS e difende una linea formalmente non allineata, l’intesa è un modo per diversificare le proprie relazioni di sicurezza senza rompere con Pechino.

Tonga, Figi e Vanuatu: la cintura delle isole “amiche”

Il lavoro di Canberra non si ferma ai grandi vicini. L’obiettivo dichiarato di Wong è costruire, isola per isola, una cintura di Stati che vedano nell’Australia il partner di sicurezza preferito. È in questo quadro che si inseriscono i negoziati e gli accordi in corso con Tonga, Figi e Vanuatu.

Da anni l’Australia investe in cooperazione marittima e di polizia: fornitura di motovedette, formazione delle forze di sicurezza, rafforzamento di basi navali e infrastrutture portuali in tutto il Pacifico. In Vanuatu, ad esempio, Canberra ha contribuito a modernizzare caserme e infrastrutture di polizia e ha donato una patrol boat Guardian-class per il pattugliamento marittimo.     

Figi occupa un posto particolare: è uno degli Stati del Pacifico che intrattengono rapporti di sicurezza sia con Australia e partner occidentali, sia con la Cina. Pechino ha avviato da tempo programmi di cooperazione di polizia con Suva, con scambi di ufficiali e formazione congiunta, a dimostrazione di quanto la competizione si giochi ormai anche sul terreno della sicurezza interna, non solo su quello militare.     

La sfida cinese: dal patto con le Isole Salomone al “quartetto del caos”

Lo sfondo di tutta questa accelerazione australiana è la crescente assertività cinese nel Pacifico. Nel 2022 la Cina ha siglato un controverso accordo di sicurezza con le Isole Salomone, che ha aperto la porta alla presenza di polizia e personale cinese sul posto, con la prospettiva – temuta da molti – di futuri attracchi navali o basi logistiche.

Oggi, analisi indipendenti descrivono nelle Salomone una presenza stabile di poliziotti cinesi impegnati in addestramento e ordine pubblico, mentre Pechino finanzia infrastrutture, stadi e progetti di sicurezza. Per Canberra, è un campanello d’allarme: se un accordo simile venisse replicato in altri Paesi insulari, cambierebbe drasticamente l’equilibrio strategico nella regione.

È in questo contesto che Wong, nel suo ultimo intervento, ha descritto Cina, Russia, Iran e Corea del Nord come una sorta di “quartetto del caos”, determinato a promuovere un ordine internazionale alternativo e a usare cyberattacchi, disinformazione e coercizione economica come strumenti di pressione. Allo stesso tempo, la ministra rivendica la volontà di mantenere aperti i canali economici e diplomatici con Pechino, evitando di trasformare il confronto in una rottura totale.

Il Forum delle isole del Pacifico: clima, potenze e “Oceano di pace”

Il terreno politico su cui tutte queste dinamiche si incrociano è il Pacific Islands Forum, il principale appuntamento annuale che riunisce i leader dei Paesi del Pacifico. L’edizione 2025, ospitata a Honiara, nelle Isole Salomone, dall’8 al 12 settembre, ha avuto al centro l’emergenza climatica, ma anche le tensioni geopolitiche e la crescente militarizzazione della regione.     

Il premier delle Salomone ha deciso di escludere partner esterni – inclusa la Cina e gli Stati Uniti – dalle discussioni tra leader, una scelta letta da molti come un modo per non mettere in imbarazzo Pechino, ma anche come affermazione di autonomia del “famigliare” pacifico.     

Tra i dossier principali figuravano la proposta dichiarazione di un “Oceano di pace”, il dibattito sulle attività minerarie in acque profonde, il nuovo Pacific Resilience Facility e la candidatura di Australia e Pacifico a ospitare un futuro vertice COP. Canberra ha puntato a presentarsi come partner di sicurezza ma anche leader climatico, consapevole che, per molti Stati insulari, l’innalzamento del livello del mare è una minaccia più immediata di qualsiasi disputa tra grandi potenze.

I rischi della strategia australiana

La scommessa di Wong è chiara: legare a doppio filo la sicurezza del Pacifico all’Australia per evitare che la Cina colmi ogni spazio lasciato libero. Ma la strada non è priva di rischi. Alcuni analisti avvertono che l’escalation di accordi militari e di polizia potrebbe alimentare la percezione di una militarizzazione eccessiva della regione, tradendo la preferenza dei Paesi insulari per un approccio “amico di tutti, nemico di nessuno”.     

In particolare, nel dibattito regionale è cresciuta la critica alle forme di “policing” autoritario che alcuni temono possano accompagnare certe cooperazioni di sicurezza, sia quando arrivano dalla Cina sia quando provengono da potenze occidentali troppo concentrate sulla dimensione militare e meno sulle esigenze sociali e democratiche delle comunità locali.     

C’è poi una questione di fiducia: gli Stati insulari ricordano bene come, in passato, i partner esterni abbiano cambiato priorità da un ciclo politico all’altro. Per convincerli che l’Australia è un partner affidabile nel lungo periodo, non basteranno i trattati: serviranno risultati concreti su sicurezza alimentare, sviluppo economico, clima e migrazioni.

Una corsa contro il tempo nel “mare di mezzo”

Il messaggio che arriva da Canberra è netto: l’Indo-Pacifico non è più una periferia ma il cuore della competizione strategica globale. L’Australia, potenza media stretta tra Stati Uniti e Cina, ha deciso di giocare da protagonista, puntando su alleanze nuove, trattati di difesa e relazioni sempre più strette con i vicini insulari.

La domanda aperta è se questa corsa alla costruzione di architetture di sicurezza riuscirà davvero a garantire stabilità e autonomia ai Paesi del Pacifico, o se contribuirà invece ad accentuare le fratture tra blocchi rivali. Di certo, il tempo stringe: mentre le grandi potenze misurano la propria influenza in memorandum e trattati, gli Stati insulari vedono aumentare il livello del mare – e con esso la loro impazienza.

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