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Pnrr: il colore (politico) dei soldi

- di: Redazione
 
Pnrr: il colore (politico) dei soldi
In un Paese appena normale il futuro dei fondi europei del Pnrr dovrebbe essere quotidianamente al centro dei pensieri di tutti, dipendendo da essi tanti progetti, molti dei quali si spera siano un volano per la nostra economia.
Ed invece questo argomento sembra interessare pochi, più per i suoi risvolti politici che non pratici. Oggi quel che ''appassiona'' è chi abbia vinto in un lunghissimo evento televisivo dove una manica di (in maggioranza) sciammannati, ignoranti ed ineducati ha mostrato il peggio dell'italico pensiero.

Pnrr: il colore (politico) dei soldi

Un evento che, zuppo di volgarità e di umane miserie, si è guadagnato una copertura giornalistica (con tanto di pagelle quotidiane sui 'protagonisti') che la dice lunga sul fatto che ormai in Italia non si sa fare più intrattenimento televisivo, buttandola in rissa sempre e comunque.
Forse si sperava che la discussione sul Piano nazionale di ripresa e resilienza potesse avere un minimo di appeal nella gente, che invece assiste con distacco al dibattito, quasi che si tratti di un argomento secondario nella vita quotidiana del Paese. Ed invece rischia di diventare importante perché, su di esso, due dei partiti della maggioranza hanno atteggiamenti talmente distanti da potere aprire delle crepe nella (apparente) saldezza della coalizione.

Il Pnrr, che vale all'incirca 220 miliardi (parte a fondo perduto, parte in prestito comunque a tassi bassissimi), sta diventando un banco di prova per il governo che, per come ammettono alcuni suoi esponenti, si vede indietro nell'avvio dei progetti. Anzi, per dirla tutta, con tali ritardi da rischiare di vanificarne gli effetti positivi.
Su questo punto la Lega, con Riccardo Molinari, capogruppo alla Camera, ha espresso un giudizio che sembrerebbe ragionevole, sostenendo che, nella consapevolezza che alcuni dei progetti resteranno nel libro dei sogni, meglio non prendere i soldi in prestito, dal momento che prima o poi i debiti dovranno essere onorati.
Una idea che dovrebbe essere condivisa, in considerazione del fatto che, sebbene a tassi molto vicini allo zero, quei fondi che l'Europa ci dà in prestito devono essere restituiti, prima o poi.
Quindi, si chiede Molinari, se si sa che non possono essere spesi, perché prenderli?

Molinari dice: ''Ho parlato con molti sindaci di comuni piccoli e i problemi sono numerosi, ha senso indebitarsi con l'Ue per fare cose che non servono? Giusto quindi ridiscutere il piano con la Commissione europea, o si cambia la destinazione dei fondi o spenderli per spenderli a caso non ha senso. Forse sarebbe il caso di valutare di rinunciare a una parte dei fondi a debito".
Ora, ripetiamo, questa appare una posizione che si basa su evidenze e senso pratico. Ma la considerazione di Molinari (sarebbe interessante sapere se è condivisa da Matteo Salvini) ha provocato la reazione del governo, anzi della stessa Giorgia Meloni, che ha detto, senza infiorettati giri di parole, che lei non prende in considerazione ''l’opzione di perdere le risorse, ma solo quella di farle arrivare a terra in maniera efficace, e tutto il lavoro che questo richiede è un lavoro che noi faremo''.

E a lei hanno fatto eco ''fonti del governo'', secondo cui ''l’ipotesi di rinunciare a una parte dei fondi non è sul tavolo. Stiamo lavorando per rimodulare il piano''.
Lo scontro quindi da ''contabile'' è diventato squisitamente politico, perché Giorgia Meloni sa benissimo di giocarsi molto su questo argomento, sul quale ha anche dovuto sfidare il fantasma di Mario Draghi quando ha cercato di addebitare al precedente esecutivo la responsabilità della situazione attuale, cadendo nel solito canovaccio che le colpe sono sempre di altri, mentre i successi sono propri.
La posta in palio non si presta ai soliti riti della politica e il presidente del consiglio sa benissimo che qualsiasi risultato non positivo sulla partita Pnrr le cadrebbe addosso come se ne fosse lei responsabile. E sa anche benissimo che tale responsabilità sarebbe per intero sua, vista la ''personalizzazione'' di un governo disegnato addosso a lei.
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