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Stipendi europei a confronto: perché i medici italiani emigrano

- di: Bruno Coletta
 
Stipendi europei a confronto: perché i medici italiani emigrano
Negli ospedali italiani, la carenza di personale sanitario e le condizioni lavorative sempre più insostenibili stanno portando il sistema sanitario nazionale al collasso. Un mix di stipendi bassi, turni massacranti e mancanza di investimenti sta spingendo sempre più medici e infermieri a lasciare il lavoro o a emigrare in cerca di condizioni migliori.

Un sistema in bilico
Il problema non è nuovo, ma la pressione è cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni. Secondo i dati più recenti, l'Italia ha uno dei rapporti medici-pazienti più alti in Europa, con sempre meno professionisti costretti a coprire un numero crescente di richieste. “La pandemia ha esacerbato una situazione già critica,” afferma Maria Rossi, presidente di un sindacato nazionale degli operatori sanitari. “Le liste d’attesa sono interminabili e il personale è esausto.”

Giovani medici in fuga
Uno dei principali problemi è il mancato ricambio generazionale. Ogni anno migliaia di neolaureati in medicina scelgono di lasciare l’Italia, attratti da stipendi più alti e orari di lavoro più sostenibili all’estero. In Germania, un medico specializzando guadagna in media 4.500 euro al mese, contro i circa 2.000 euro di un pari grado in Italia. In Svizzera, la retribuzione può superare i 6.000 euro. Paesi come il Regno Unito offrono non solo stipendi migliori ma anche condizioni di lavoro più flessibili e un maggiore supporto per la formazione.
Secondo un rapporto dell’ANAAO-Assomed, circa 10.000 medici hanno lasciato l’Italia negli ultimi cinque anni. Il fenomeno ha un costo elevato: formare un medico in Italia costa circa 150.000 euro, investimenti che vanno a beneficio di sistemi sanitari stranieri.

Turni insostenibili e burnout
Per chi resta, le condizioni lavorative sono tutt’altro che rassicuranti. Gli operatori sanitari italiani sono tra i più esposti al rischio di burnout. Turni di 12 ore sono diventati la norma, con straordinari che spesso non vengono retribuiti adeguatamente. “Il carico di lavoro è diventato insostenibile,” racconta Luigi Bianchi, infermiere in un grande ospedale milanese. “Non abbiamo il tempo di prenderci cura dei pazienti come vorremmo, e questo è devastante sia per noi che per loro.

L’impatto sui pazienti
La carenza di personale si traduce in un peggioramento della qualità delle cure. Le liste d’attesa per visite specialistiche e interventi chirurgici si allungano sempre di più, con tempi che in alcune regioni superano l’anno. Nei pronto soccorso, la situazione è ancora più critica: pazienti costretti ad aspettare ore, se non giorni, per un letto.

Le riforme mancate
Nonostante i ripetuti allarmi, le politiche di riforma del sistema sanitario italiano sembrano ancora in alto mare. Negli ultimi anni, gli investimenti nel settore sono rimasti ben al di sotto della media europea. L’Italia spende circa il 6,4% del Pil in sanità, rispetto a una media UE del 9,9%. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) ha promesso risorse significative, ma molti operatori sanitari temono che questi fondi non saranno sufficienti o che non verranno utilizzati efficacemente.

Una questione di priorità

Il nostro sistema sanitario è stato a lungo motivo di orgoglio,” sottolinea Marco Ferri, professore di politiche sanitarie all’Università di Bologna. “Ma senza un cambio di rotta, rischiamo di perdere una delle conquiste sociali più importanti del nostro Paese.
L’Italia si trova a un bivio: o investire nella salute pubblica e nel benessere dei suoi operatori sanitari, o affrontare un futuro in cui le disuguaglianze nell’accesso alle cure diventeranno sempre più marcate. La posta in gioco non è mai stata così alta.

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