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Elon Musk, Ai e il lavoro “opzionale”: quanto è vicino quel futuro?

- di: Bruno Coletta
 
Elon Musk, Ai e il lavoro “opzionale”: quanto è vicino quel futuro?
Robot che spazzano via la povertà, reddito universale alto, supercomputer da record: la nuova scommessa del patron di Tesla sull’intelligenza artificiale cambia le regole del gioco e fa discutere il mondo del lavoro.

Elon Musk (foto) ha acceso di nuovo i riflettori sul futuro del lavoro nell’era dell’intelligenza artificiale. La sua previsione è netta: in una o due decadi lavorare diventerà una scelta, non più una necessità. I robot e i sistemi di Ai, sostiene, saranno in grado di produrre quasi tutto ciò di cui abbiamo bisogno, rendendo il denaro sempre meno centrale e spingendo il mondo verso un “reddito universale alto”.

Dietro questa visione non ci sono solo slogan: c’è un ecosistema fatto di supercomputer colossali, accordi miliardari per megadata center, la corsa globale ai chip e una serie di interrogativi su disuguaglianze, potere delle Big Tech e ruolo degli Stati.

Lavoro opzionale e denaro irrilevante: la nuova promessa

Negli ultimi mesi Musk ha ribadito più volte lo stesso scenario. In una recente conversazione pubblica ha sintetizzato così il suo pronostico: “Il mio pronostico è che il lavoro sarà opzionale: sarà più simile a uno sport o a un videogioco che a un obbligo economico”, ha detto, spiegando che chi vorrà potrà ancora lavorare, ma più per passione che per sopravvivenza.

Secondo l’imprenditore, la combinazione di robot umanoidi, come il progetto Optimus di Tesla, e di sistemi di intelligenza artificiale generativa porterà a una situazione in cui quasi tutti i compiti oggi svolti dagli esseri umani saranno automatizzati. In questo contesto, il denaro perderebbe parte del suo peso: non scomparirebbe del tutto, ma diventerebbe molto meno centrale nella vita quotidiana, perché beni e servizi verrebbero prodotti in abbondanza a costi marginali bassissimi.

Musk arriva a ipotizzare che la povertà estrema possa essere eliminata: la produzione affidata alle macchine, funzionando 24 ore su 24, genererebbe una tale quantità di valore da permettere di garantire a tutti un livello di vita dignitoso, se non addirittura agiato, a prescindere dall’occupazione.

Dal reddito universale al “reddito universale alto”

Il riferimento più immediato è il reddito di base universale (Universal Basic Income, UBI), un’idea che gli economisti discutono da decenni. Musk però va oltre: non si accontenta di un sussidio minimo per la sopravvivenza, ma parla di “un reddito universale alto”, sufficiente perché la maggioranza delle persone possa non solo vivere, ma vivere bene.

Già dal 2017, nei grandi summit internazionali, Musk sosteneva che “qualche forma di reddito di base universale sarà necessaria”, collegando il tema direttamente all’avanzata dei robot e dell’Ai. Oggi, con la nuova ondata di sistemi generativi, ha rilanciato la sua tesi: non basta più assicurare il minimo indispensabile, bisogna pensare a un modello di distribuzione della ricchezza in un mondo di abbondanza tecnologica.

Questa impostazione si collega al concetto di “post-scarsità”: una società in cui molte risorse materiali non sono più così limitate come oggi, perché la produttività delle macchine supera di gran lunga quella umana. In uno scenario del genere, la vera questione non è produrre di più, ma decidere come distribuire ciò che viene prodotto.

xAi, Grok e il supercomputer Colossus: la fabbrica di cervelli artificiali

Le visioni di Musk non nascono nel vuoto. Sul piano industriale, il progetto chiave è xAi, la sua società di intelligenza artificiale che sviluppa il modello linguistico Grok, un chatbot pensato per il “ragionamento profondo” e per affrontare problemi complessi, dalla matematica alla programmazione.

Per addestrare modelli di questa scala serve però una quantità gigantesca di potenza di calcolo. È qui che entra in gioco Colossus, il supercomputer di xAi realizzato a Memphis, nel Tennessee. Il sistema è stato costruito in tempi record e, secondo l’azienda, è arrivato a utilizzare centinaia di migliaia di GPU di ultima generazione, diventando uno dei più grandi impianti al mondo dedicati all’Ai.

In pochi mesi la capacità è stata raddoppiata, e xAi ha avviato la realizzazione di Colossus II, con l’obiettivo di creare un cluster da circa un gigawatt di potenza dedicata all’addestramento di modelli ancora più sofisticati. La metafora di Musk è chiara: un vero e proprio “gigafactory del calcolo”, simile alle fabbriche di batterie di Tesla, ma per i cervelli artificiali.

Questa infrastruttura non è un dettaglio tecnico: è il motore che, nelle intenzioni del fondatore, dovrebbe rendere possibile quella produttività quasi infinita che sta alla base della sua idea di lavoro opzionale e reddito universale alto.

La nuova alleanza con Humain e la geopolitica dei chip

Il supercalcolo non basta. La visione di Musk si gioca anche sul terreno della geopolitica dell’Ai. In questo quadro si inserisce la collaborazione tra xAi e la società saudita Humain, sostenuta dal fondo sovrano dell’Arabia Saudita e protagonista della corsa regionale all’intelligenza artificiale.

L’accordo prevede la costruzione di un enorme data center da 500 megawatt, che dovrebbe diventare il primo tassello di una rete di infrastrutture di calcolo di nuova generazione. L’impianto servirà a ospitare GPU tra le più avanzate sul mercato, comprese le nuove generazioni di chip destinati all’Ai, e a distribuire i modelli Grok nel Regno nell’ottica dichiarata di trasformarlo in una delle nazioni più avanzate al mondo nell’uso dell’intelligenza artificiale.

Per Musk questa alleanza significa due cose: diversificare i centri di calcolo, uscendo dai soli Stati Uniti e costruendo una presenza in una regione che sta investendo massicciamente in infrastrutture digitali; e assicurarsi accesso privilegiato a grandi quantità di chip, la materia prima dell’Ai, in un momento in cui la domanda globale supera largamente l’offerta.

Attorno a Humain ruotano anche partnership con produttori di semiconduttori e grandi cloud provider, oltre alla fornitura di decine di migliaia di acceleratori dedicati all’Ai. È un tassello della nuova geografia del potere tecnologico, in cui i data center diventano infrastrutture strategiche paragonabili a oleodotti e centrali elettriche.

Debito pubblico, inflazione e la promessa di una nuova economia

Musk non limita il discorso al lavoro. In diverse interviste ha collegato la crescita dell’Ai anche a temi macroeconomici, come debito pubblico e inflazione. Secondo lui, l’aumento di produttività reso possibile dai robot e dall’intelligenza artificiale potrebbe superare il ritmo dell’inflazione e contribuire a sgonfiare i debiti accumulati da economie come quella statunitense.

In questa narrazione, l’Ai diventa la leva principale per tenere in piedi i conti pubblici: se le macchine producono molto più valore di quanto facciamo oggi, tassare una parte di questa nuova ricchezza potrebbe finanziare forme di reddito garantito e, allo stesso tempo, ridurre il peso del debito.

È una visione che entusiasma una parte degli investitori, attratti dalla prospettiva di un’Ai capace di moltiplicare gli utili aziendali, ma che solleva anche molti dubbi tra economisti e policy maker, preoccupati che il divario tra chi possiede le macchine e chi no possa allargarsi ancora di più.

Chi è entusiasta: Ai come motore di abbondanza

Tra i sostenitori della linea Musk ci sono diversi imprenditori e investitori della Silicon Valley che condividono l’idea di un’Ai capace di svolgere l’80% o più delle mansioni in molti lavori, lasciando agli esseri umani ciò che è più creativo, relazionale o strategico. In questa prospettiva, le macchine non rubano il lavoro, lo trasformano: i compiti ripetitivi vengono delegati, mentre le persone si concentrano su ciò che “conta davvero”.

Secondo questa lettura, un sistema di reddito universale, o universale alto, servirebbe a garantire la transizione: i cittadini riceverebbero una base economica stabile, mentre le imprese beneficerebbero dell’enorme salto di produttività generato dall’automazione. In teoria, una parte di questi extra profitti potrebbe finanziare il nuovo welfare.

Non manca chi vede in questo scenario una forma di “comunismo tecnologico generato dal capitalismo”: gli incentivi privati a creare macchine sempre più efficienti finirebbero, almeno secondo i più ottimisti, per produrre un mondo di abbondanza condivisa in cui il lavoro come lo conosciamo oggi perde significato.

Chi è scettico: disuguaglianze e disoccupazione di massa

Dall’altra parte ci sono scienziati dell’Ai e studiosi del lavoro che guardano con estrema cautela alle previsioni del patron di Tesla. Un tema ricorrente è il rischio che la ricchezza generata dall’automazione finisca concentrata nelle mani di pochi attori: i proprietari dei data center, dei modelli di intelligenza artificiale e delle piattaforme che li distribuiscono.

Molti pionieri dell’Ai hanno già avvertito che l’ondata di automazione potrebbe causare disoccupazione su larga scala, soprattutto se governi e sistemi di welfare non si adegueranno in tempo. Il problema, sottolineano, non è la tecnologia in sé, ma il contesto economico e politico in cui viene adottata: senza nuove regole, il rischio è un mondo a due velocità, con un’élite di “azionisti dei robot” e una maggioranza di lavoratori sostituiti o drasticamente svalutati.

Tra gli interrogativi più spinosi c’è anche quello del senso. Se, come teme lo stesso Musk, molti individui continueranno a trovare significato nella propria professione, come reagirà la società a un mondo in cui il lavoro non è più necessario per vivere? La risposta, per ora, è tutt’altro che chiara.

Reddito universale tra esperimenti reali e problemi aperti

Il reddito universale non è solo un’idea da conferenze. Negli ultimi anni sono fioriti esperimenti pilota in varie parti del mondo, dalle città statunitensi a progetti in Europa: assegni mensili garantiti a un campione di cittadini, senza condizioni legate all’occupazione, per studiare gli effetti su salute, partecipazione al lavoro, istruzione, consumo.

I risultati, finora, mostrano spesso benefici in termini di benessere e stabilità finanziaria, ma la questione cruciale resta la sostenibilità su larga scala. Chi paga il conto di un reddito davvero universale e, ancora di più, di un reddito “universale alto” come immagina Musk? Le proposte spaziano dall’aumento della tassazione sui grandi patrimoni e sulle imprese iper-automatizzate fino a nuove forme di “dividendo dei dati”, cioè una remunerazione collettiva per l’uso delle informazioni generate dagli utenti.

Senza una riforma profonda dei sistemi fiscali e redistributivi, però, il rischio è che le parole restino slogan, mentre sul terreno reale avanzano solo automazione e tagli occupazionali.

Un futuro da romanzo di fantascienza

La visione di Musk richiama i mondi della fantascienza post-scarsità, dove superintelligenze artificiali gestiscono la produzione e gli esseri umani sono liberi di dedicarsi ad arte, ricerca, gioco, esplorazione. L’imprenditore ha citato più volte saghe in cui il denaro scompare e la società è organizzata su nuove basi, con l’Ai come regista invisibile dell’abbondanza.

La differenza, però, è che oggi i tasselli tecnologici di quel futuro iniziano a esistere davvero: supercomputer come Colossus, megadata center da centinaia di megawatt, robot umanoidi sempre più agili, modelli linguistici che scrivono codice, analizzano dati, producono contenuti in tempo reale.

La domanda allora non è più se l’Ai cambierà il lavoro, ma chi deciderà come lo cambierà. Saranno le scelte di pochi giganti tecnologici e di alcuni governi a tracciare la rotta, o ci sarà spazio per un dibattito democratico su come usare la nuova ricchezza generata dalle macchine?

Quanto è realistico il lavoro “opzionale”?

Alla prova dei fatti, il futuro dipinto da Musk è al tempo stesso plausibile sul piano tecnologico e fragilissimo sul piano politico. È credibile immaginare che, in 10-20 anni, robot e intelligenza artificiale saranno in grado di svolgere gran parte dei lavori manuali e intellettuali? Sì, se la curva di sviluppo continuerà con il ritmo attuale. È altrettanto credibile che questo si traduca automaticamente in lavoro facoltativo per tutti e povertà azzerata? Molto meno.

Perché ciò accada, servono almeno tre condizioni: un’enorme infrastruttura di calcolo sostenibile (non solo economicamente, ma anche dal punto di vista energetico e ambientale); nuovi meccanismi di redistribuzione della ricchezza generata dall’Ai; e un ridisegno culturale del ruolo del lavoro nella vita delle persone. Nessuna di queste tre condizioni è garantita.

Al momento, i supercomputer come Colossus e i futuri data center da centinaia di megawatt mostrano che la corsa industriale è già iniziata. La politica e il welfare, invece, sono ancora indietro. Il risultato è un paradosso: stiamo costruendo le macchine che potrebbero rendere il lavoro opzionale prima ancora di aver deciso come proteggere chi rischia di essere sostituito per primo.

In questo spazio di incertezza si colloca il messaggio di Musk: un misto di promessa, avvertimento e auto-legittimazione. Promessa, perché dipinge un mondo dove la povertà è superata. Avvertimento, perché insiste sulla necessità di prepararsi a un cambiamento inevitabile. Auto-legittimazione, perché la stessa persona che delinea il quadro è anche quella che costruisce l’infrastruttura tecnologica da cui dipenderà quel futuro.

Quanto di tutto questo si realizzerà davvero? La tecnologia, da sola, non lo deciderà. A farlo saranno leggi, scelte fiscali e movimenti sociali. L’Ai può rendere il lavoro opzionale; stabilire se la vita senza lavoro sarà migliore o peggiore, però, resta ancora una decisione umana.

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