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TikTok, la dipendenza che cresce nel silenzio dello scroll

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
TikTok, la dipendenza che cresce nel silenzio dello scroll

Non fa rumore, non occupa spazio, non lascia segni visibili. Eppure c’è. È il tempo che scorre mentre un ragazzo, uno smartphone in mano, fa scorrere il dito verso l’alto. Video dopo video. Minuti che diventano ore. La dipendenza da TikTok non ha l’odore acre delle vecchie dipendenze né l’allarme immediato delle emergenze sociali. È una presenza discreta, continua, quotidiana. Proprio per questo, difficile da riconoscere e ancora più difficile da arginare.

TikTok, la dipendenza che cresce nel silenzio dello scroll

TikTok non chiede quasi nulla, ma restituisce moltissimo: contenuti su misura, emozioni rapide, riconoscimento immediato. L’algoritmo osserva, registra, impara. In pochi minuti sa cosa ti fa sorridere, cosa ti trattiene, cosa ti emoziona. È qui che il meccanismo si chiude: più guardi, più l’app ti somiglia. Più ti somiglia, più resti.
Nel linguaggio della psicologia si parla di rinforzo intermittente: una sequenza di stimoli imprevedibili che attiva la dopamina e rende difficile interrompere l’esperienza. Nel linguaggio quotidiano, semplicemente, “ancora un video e poi smetto”. Ma quel “poi” spesso non arriva.

Quando l’intrattenimento diventa bisogno
Non tutto l’uso intensivo è dipendenza, ma alcuni segnali ricorrono: difficoltà a staccarsi, irritabilità quando l’accesso viene limitato, calo della concentrazione, sonno irregolare. Nei ragazzi più giovani, tutto questo si intreccia con una fase della vita già fragile, fatta di costruzione dell’identità, confronto costante, bisogno di approvazione.
TikTok diventa così non solo uno spazio di svago, ma un rifugio emotivo. Un luogo dove sentirsi visti, riconosciuti, talvolta meno soli. Il problema nasce quando quel luogo sostituisce altri spazi: lo studio, le relazioni, il tempo vuoto che serve a pensare.

Ansia, autostima e confronto permanente
Il feed non si ferma mai e nemmeno il confronto. Corpi perfetti, vite veloci, successi compressi in trenta secondi. Per molti adolescenti, l’esposizione continua a questi modelli alimenta insicurezze, senso di inadeguatezza, ansia da prestazione.
Non è l’app in sé a generare il disagio, ma l’uso prolungato e non mediato. Il rischio è che il valore personale venga misurato in like, visualizzazioni, commenti. Una metrica emotiva instabile, che può lasciare segni profondi.

Famiglie e scuole: il ritardo della consapevolezza
Genitori e insegnanti arrivano spesso dopo. Vedono gli effetti, non il processo. Il silenzio di una stanza, la porta chiusa, lo sguardo fisso sullo schermo non fanno notizia. Eppure raccontano molto.Imporre divieti assoluti funziona poco. Funziona di più la presenza, il dialogo, la costruzione di regole condivise. Perché la vera sfida non è togliere TikTok, ma insegnare a usarlo senza esserne usati.

Politica e regole: il dibattito è aperto
In diversi Paesi si discute di limiti di età più stringenti, di restrizioni notturne, di responsabilità degli algoritmi. Segnali di una consapevolezza crescente: il tema non è morale, è pubblico. Riguarda la salute mentale, l’educazione, il futuro.
La domanda di fondo resta semplice e scomoda: quanto tempo è giusto affidare ai meccanismi automatici dell’attenzione?

Un equilibrio ancora da trovare
TikTok non è il nemico. È uno specchio del nostro tempo, accelerato e affamato di stimoli. Ma quando a specchiarsi sono ragazzi in crescita, il riflesso va accompagnato, spiegato, talvolta corretto.
La dipendenza digitale non esplode, si insinua. E proprio per questo va riconosciuta prima che diventi normalità. Perché educare all’uso consapevole dei social oggi significa prendersi cura della libertà di domani.

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