Brasilia accusa gli Usa di ricatto e prepara la ritorsione. Lula: “Il popolo brasiliano è l’unico padrone”.
“Il Brasile non si fa ricattare. E non prenderemo mai ordini da un gringo”. Con queste parole, Luiz Inácio Lula da Silva (foto) ha lanciato un guanto di sfida al presidente statunitense Donald Trump, dopo l’annuncio di dazi punitivi del 50% sui prodotti verde-oro. Il suo discorso alla nazione, trasmesso in prima serata dalla TV pubblica alle 20:25 ora locale, ha scatenato una nuova tempesta diplomatica tra Washington e Brasilia.
Il tono del presidente brasiliano è stato netto, quasi militante. «Il Brasile è sempre stato aperto al dialogo», ha detto, «ma quello che abbiamo ricevuto è stato un ricatto inaccettabile». Il riferimento è alle trattative interrotte unilateralmente dagli Stati Uniti, nonostante – ha spiegato Lula – oltre dieci incontri ufficiali e una proposta scritta inviata il 16 maggio, mai degnata di risposta.
Nessuna soggezione a Trump
Ma non è solo una questione commerciale. Lo scontro si è fatto anche ideologico, culturale, quasi personale. Trump, in una delle sue ultime dichiarazioni, aveva criticato l’inchiesta giudiziaria brasiliana sull’ex presidente Jair Bolsonaro, definendola “una farsa”. Lula ha risposto con furia: «Interferire nella giustizia brasiliana è un grave attentato alla nostra sovranità». E ha rincarato: «Ci sono politici brasiliani che appoggiano questo attacco. Sono traditori della patria. Scommettono sul disastro economico pur di screditare il governo».
Il presidente ha poi chiuso con un passaggio dallo spirito fortemente identitario: «Siamo un paese di pace, crediamo nel multilateralismo. Ma non dimentichiamo che il Brasile ha un solo padrone: il popolo brasiliano».
Petrolio verso l’Asia, tensione commerciale alle stelle
La risposta del Brasile si sta preparando in fretta. Sul fronte economico, la prima contromossa è arrivata da Petrobras. Il colosso energetico nazionale ha annunciato la riorganizzazione delle rotte di esportazione del petrolio, con un chiaro orientamento verso l’Asia. «Solo il 4% del nostro export va agli Stati Uniti. Non siamo ostaggi di nessuno», ha dichiarato Jean Paul Prates, CEO di Petrobras.
Secondo fonti governative, il piano prevede una diversificazione immediata dei mercati di sbocco, puntando su Cina, India e Paesi ASEAN. Il ministro dell’Economia, Fernando Haddad, ha aggiunto che sono allo studio “misure equivalenti” da applicare alle importazioni americane in Brasile, anche se – ha precisato – «l’obiettivo non è una guerra commerciale, ma la difesa della nostra dignità economica».
Nazionalismo in crescita, Lula rafforza la leadership
Lo scontro con Trump, lungi dal danneggiarlo, sta rafforzando Lula politicamente. In patria il suo discorso è stato accolto con applausi anche da settori moderati e imprenditoriali. Sui social brasiliani, è tornato virale il “vampetaço”, meme satirico in cui Lula respinge simbolicamente gli insulti statunitensi, diventando un simbolo di orgoglio nazionale.
Secondo analisti, la nuova linea dura del presidente ha rinsaldato il consenso del suo governo, proprio mentre l’opposizione bolsonarista appare divisa e sotto pressione giudiziaria. A un anno e mezzo dalle elezioni, il Partito dei Lavoratori cavalca il sentimento patriottico con una campagna per la “sovranità economica”, mentre il campo conservatore sembra stretto tra le accuse internazionali a Bolsonaro e l’imbarazzo per la sponda offerta da Trump.
Le vere poste in gioco
Dietro le scintille tra i due presidenti, c’è molto di più di una disputa commerciale. Il primo livello è geopolitico: la mossa di Trump è letta da molti osservatori come una punizione per la crescente indipendenza diplomatica di Lula, che ha rafforzato i rapporti con la Cina, rilanciato i Brics e partecipato al G20 con una linea autonoma.
Il secondo livello è economico: colpendo il Brasile, Trump lancia un messaggio a tutti i partner commerciali considerati “infedeli”. Ma rischia un boomerang, perché Brasilia ha già pronto un piano B e nuove sponde in Europa e Asia. Il terzo livello è interno, ed è quello più instabile: se da un lato Trump galvanizza la sua base protezionista, dall’altro apre un fronte che indebolisce la fiducia internazionale nella sua capacità di negoziare con razionalità.
Una frattura profonda
Quello che sta accadendo non è un incidente, ma il sintomo di una frattura più profonda. La Casa Bianca trumpiana punta a un ritorno del primato unilaterale americano. Il Brasile, al contrario, rivendica un nuovo equilibrio multipolare. Lula non si limita a difendersi: rilancia. E il suo discorso non è solo per gli elettori brasiliani, ma per il mondo intero.
In gioco non ci sono solo le tariffe su agrumi e acciaio, ma il principio stesso di sovranità in un’epoca in cui la diplomazia si fa a colpi di tweet, dazi e provocazioni.
Se Trump vuole imporre le sue regole, Lula è deciso a non giocare nemmeno la partita. Il futuro di questa crisi dipenderà da chi tra i due riuscirà a convincere più alleati che il proprio modello – quello dell’imposizione o quello del rispetto – è ancora sostenibile nel 2025. Ma per ora, Lula ha vinto il primo round. Con le parole, sì, ma anche con la schiena dritta.