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Trump cede sullo shutdown, accordo fino al 30 gennaio

- di: Jole Rosati
 
Trump cede sullo shutdown, accordo fino al 30 gennaio

Voto su Obamacare rinviato a dicembre, i democratici ottengono la riassunzione dei dipendenti federali e gli arretrati. Il presidente parla di “fine vicina” ma la tregua è fragile. 

Dopo oltre tre settimane di paralisi del governo federale, il Senato americano ha raggiunto un accordo bipartisan per porre fine allo shutdown e rifinanziare temporaneamente l’amministrazione fino al 30 gennaio 2026. A riportarlo per prima è stata la Cnn, citando fonti interne ai negoziati che si sono protratti fino a tarda notte. L’intesa, che dovrà essere ratificata anche dalla Camera, è il frutto di una trattativa serrata tra repubblicani moderati e democratici, decisi a evitare un collasso prolungato delle agenzie federali e dei servizi pubblici essenziali.

Una tregua provvisoria che salva la faccia a tutti

L’accordo prevede che il Congresso torni a votare a dicembre sul capitolo più controverso: la riforma sanitaria nota come Obamacare. Lo slittamento è servito a sbloccare la situazione senza costringere le parti a una resa formale. In cambio, i democratici hanno ottenuto una misura simbolicamente forte: la riassunzione dei dipendenti federali licenziati durante lo shutdown e la garanzia di una retribuzione retroattiva per chi era stato costretto al congedo non retribuito. La norma approvata impedisce inoltre all’Ufficio di Gestione e Bilancio di avviare nuovi tagli di personale fino al termine di gennaio.

Si tratta di una vittoria politica per i democratici, che nelle ultime settimane avevano denunciato con forza gli effetti “disumani” del blocco amministrativo. “La priorità era rimettere in moto il Paese e restituire dignità ai lavoratori pubblici”, ha spiegato il capogruppo democratico al Senato, Chuck Schumer, parlando di un “compromesso di responsabilità nazionale”.

Trump abbassa i toni: “Siamo vicini alla fine dello shutdown”

Dal canto suo, il presidente Donald Trump ha commentato l’intesa con parole insolitamente concilianti. “Ci stiamo avvicinando alla fine dello shutdown”, ha dichiarato in serata dalla Casa Bianca, sottolineando che l’obiettivo è “tutelare i cittadini americani e mantenere in piedi i servizi essenziali”. Un linguaggio lontano dalla retorica di sfida che aveva caratterizzato le settimane precedenti, quando il presidente aveva minacciato di lasciare “fermo il governo finché non si fosse raggiunto un accordo accettabile per il popolo americano”.

L’evoluzione riflette la crescente pressione dell’opinione pubblica e dei mercati, allarmati dagli effetti economici di una paralisi che aveva già superato i venti giorni. Secondo le stime di Bloomberg Economics, ogni settimana di shutdown costa agli Stati Uniti circa 6 miliardi di dollari in termini di produttività, consumi e ritardi negli appalti pubblici. Non sorprende, quindi, che diversi senatori repubblicani abbiano spinto per una soluzione “ponte” pur di far ripartire la macchina statale.

Dipendenti federali, la lunga attesa per tornare al lavoro

Oltre 800mila lavoratori pubblici erano stati messi in congedo forzato, molti dei quali per la seconda volta in meno di due anni. Il provvedimento approvato al Senato consente loro di tornare immediatamente al lavoro e di recuperare le settimane di stipendio perse. “È un sollievo enorme, ma non dimenticheremo come siamo stati trattati”, ha commentato un impiegato dell’Agenzia per la protezione ambientale (Epa), intervistato dal Washington Post.

Nei parchi nazionali, negli aeroporti e negli uffici doganali, la riapertura dei servizi sarà graduale, ma segna un segnale concreto di ritorno alla normalità. Tuttavia, la tregua resta fragile: se a dicembre non verrà approvata una legge di bilancio strutturale, il rischio di una nuova chiusura tornerà a incombere.

Il voto su Obamacare e la partita politica di dicembre

Il rinvio del voto su Obamacare a dicembre è il cuore politico dell’intesa. Trump e i repubblicani più conservatori volevano abrogare alcune parti della riforma sanitaria per ridurre la spesa federale, ma i democratici hanno opposto un muro, denunciando il rischio di lasciare milioni di americani senza copertura. Secondo gli osservatori, il compromesso rappresenta un successo tattico dei progressisti, che guadagnano tempo in vista di una trattativa più ampia sul bilancio complessivo del 2026.

Non si tratta di una vittoria definitiva, ma di un passo che ci permette di proteggere la salute e il lavoro di milioni di persone”, ha detto la senatrice Elizabeth Warren, invitando il Congresso a “scegliere la stabilità, non l’incertezza come strumento politico”.

Il prezzo della paralisi e la sfida dei prossimi mesi

Secondo i dati del Congressional Budget Office, ogni giorno di shutdown riduce il Pil americano di circa 0,1 punti percentuali, un impatto che si somma alle turbolenze finanziarie degli ultimi mesi. Le borse, già indebolite dalle tensioni con la Cina e dal rallentamento dei consumi, avevano reagito con nervosismo alla prospettiva di una chiusura prolungata. Il compromesso ha invece innescato una reazione positiva sui mercati asiatici e a Wall Street, dove i future sono tornati in territorio positivo.

Resta però un punto politico cruciale: la crisi di fiducia nelle istituzioni. Secondo un sondaggio Gallup pubblicato il 9 novembre, oltre il 60% degli americani ritiene che lo shutdown sia stato “inutile e dannoso”. Un dato che riflette il crescente scollamento tra l’opinione pubblica e la classe dirigente di Washington, sempre più divisa e polarizzata.

Una tregua che non risolve le fratture

Il compromesso approvato al Senato non è la fine del conflitto politico, ma solo un momento di pausa. I democratici potranno rivendicare la difesa dei lavoratori e dei servizi pubblici, mentre Trump tenterà di presentare l’intesa come una prova di leadership e pragmatismo. Ma il terreno di scontro resta aperto: spesa sanitaria, debito pubblico e gestione del welfare saranno i temi centrali del prossimo inverno politico americano.

Il Paese ha bisogno di certezze, non di governi che si spengono e si riaccendono come interruttori”, ha dichiarato la senatrice repubblicana Susan Collins, una delle artefici del compromesso. Parole che sintetizzano la sensazione diffusa a Washington: la pace è tornata, ma potrebbe durare solo fino al prossimo voto.

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