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Bruxelles contro Roma sul golden power, Unicredit all’attacco

- di: Vittorio Massi
 
Bruxelles contro Roma sul golden power, Unicredit all’attacco

Lettera Ue in arrivo sul blitz anti-Ops. Il Tar si pronuncia, la Borsa scommette su Orcel. Ma resta il nodo Russia, ed è scontro sulla sovranità.

(Foto: Il Ceo di Unicredit, Andrea Orcel).

Unicredit-Bpm, lo strappo è servito

È un braccio di ferro ad alta tensione quello in corso tra Roma e Bruxelles sulla legittimità del golden power applicato all’offerta pubblica di scambio lanciata da Unicredit su Banco Bpm. La Commissione europea si appresta a inviare una lettera formale al governo italiano per sollevare rilievi giuridici sull’intervento dell’esecutivo Meloni, ritenuto lesivo delle competenze esclusive dell’Unione in materia di concentrazioni bancarie transfrontaliere. Un passaggio che potrebbe aprire un nuovo, scivoloso contenzioso su una materia già bollente: l’autonomia nazionale in nome della sicurezza, contro le regole comuni del mercato unico.

La linea del Piave: Mosca

Il nodo centrale, per Palazzo Chigi, resta uno: la presenza ancora attiva di Unicredit in Russia. È questo l’elemento che ha giustificato, secondo il decreto del governo, l’attivazione dei poteri speciali – i cosiddetti golden power – sull’operazione da oltre 16 miliardi che punta a far nascere il secondo polo bancario italiano. La banca guidata da Andrea Orcel ha ribattuto colpo su colpo: nel supplemento al documento d’offerta pubblicato il 3 luglio, ha definito “poco chiara” la portata delle prescrizioni, sostenendo che l’incertezza normativa potrebbe addirittura far deragliare l’intera operazione. “Sussiste il rischio – ha scritto Unicredit – che una non univoca interpretazione possa esporre la banca a sanzioni fino al doppio del valore dell’Ops o almeno pari all’1% del fatturato annuo”, vale a dire oltre 240 milioni di euro.

Tar del Lazio, sentenza sprint attesa

Tutto ora ruota intorno all’udienza fissata per martedì 9 luglio davanti al Tar del Lazio, chiamato a pronunciarsi sul ricorso presentato da Unicredit per l’annullamento del decreto governativo. I giudici amministrativi potrebbero decidere già nelle prossime ore, segnando un nuovo scossone nella trattativa. Il contesto resta però in evoluzione. Da Bruxelles non arriva nessuna conferma ufficiale sulla lettera in arrivo, ma i canali diplomatici sono in fermento: l’obiettivo sarebbe evitare uno scontro frontale, magari puntando su una mediazione che consenta di salvare la forma – e il business.

Non è un’infrazione, ma è un avviso serio

La lettera che l’esecutivo europeo sta predisponendo non configura l’apertura di una procedura di infrazione, almeno per ora. Ma è molto più di una nota di cortesia. È un atto previsto dall’articolo 21 del Regolamento Ue 139/2004 sulle concentrazioni: l’Unione ricorda agli Stati membri che eventuali misure restrittive sono ammesse solo se motivate da “interessi legittimi” – come sicurezza pubblica, pluralismo dei media o stabilità finanziaria – e comunque devono essere proporzionate e compatibili con il diritto comunitario. Un monito, insomma, che chiama Roma a rispondere entro 10-15 giorni, in piena corsa verso la scadenza dell’Ops fissata per il 23 luglio.

La Borsa scommette su Unicredit

Nonostante le incertezze, i mercati sembrano credere nella riuscita dell’operazione. L’8 luglio i titoli di Banco Bpm sono balzati del 3,6%, mentre Unicredit ha guadagnato l’1,9%. A convincere gli investitori è soprattutto la determinazione di Orcel, che ha costruito un’operazione blindata sul piano industriale e, nei fatti, difficilmente ostacolabile su base giuridica. Ma c’è un’altra lettura: il mercato sta anche scommettendo che alla fine il governo sarà costretto a fare un passo indietro, magari salvando la faccia con qualche clausola simbolica.

Il precedente che preoccupa l’Europa

Non è la prima volta che Bruxelles accende i riflettori sul golden power italiano. Lo aveva già fatto nel 2024, aprendo un fascicolo informale sull’abuso dei poteri speciali in vari settori, dall’energia alle telecomunicazioni. In quel caso, l’Italia si era difesa parlando di “strumento necessario per garantire la sicurezza nazionale”. Oggi, però, lo scontro è più duro, perché investe direttamente il cuore del sistema bancario europeo. E, soprattutto, coinvolge un’operazione tra due gruppi italiani, ma con ricadute continentali. “È un precedente pericoloso – ha commentato un funzionario europeo – che potrebbe essere imitato da altri governi per ragioni politiche, minando l’integrità del mercato unico”.

Mediazione difficile, il tempo stringe

Nei palazzi dell’eurocrazia si lavora sotto traccia per evitare la collisione. Ma la possibilità di mediazione non è illimitata. La Commissione potrebbe accettare che alcune condizioni italiane restino in vigore, purché vengano specificate meglio e non abbiano impatti discriminatori. Nessuno, però, è disposto ad accettare una deroga sul capitolo Russia: qui si gioca una partita molto più ampia, che riguarda il rispetto delle sanzioni internazionali e la coerenza dell’intera politica estera Ue. L’Italia, insomma, potrà trattare su tutto – tranne che su Mosca.

Sovranità economica o trappola protezionista?

Il caso Unicredit-Bpm riaccende un dibattito ormai strutturale nell’economia europea: fino a che punto gli Stati possono usare il golden power per difendere la propria sovranità economica? E dove inizia l’abuso, il protezionismo, l’arbitrio? Per alcuni analisti, come Lorenzo Codogno, l’Italia sta semplicemente esercitando un diritto legittimo: “Se esistono elementi di rischio geopolitico, è giusto che il governo intervenga”. Per altri, invece, si tratta di un’interferenza politica su un’operazione industriale che dovrebbe restare autonoma. “Il rischio – scrive il Financial Times – è che si mandi un segnale negativo agli investitori stranieri, scoraggiandoli dal puntare sul sistema bancario italiano”.

Un test per tutti

In questa vicenda non c’è una parte sola sotto esame. Se il governo Meloni gioca la carta della sicurezza nazionale, la Commissione Ue deve dimostrare di saper tutelare non solo le regole, ma anche l’equilibrio politico tra Stati membri. Unicredit, da parte sua, mette in gioco la propria credibilità internazionale, mentre Banco Bpm si trova sospesa tra due fuochi. Il tempo stringe, e la decisione del Tar potrebbe non essere l’ultima parola. Ma una cosa è certa: il futuro del banking italiano si sta decidendo qui, tra Roma, Bruxelles e Mosca.

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