Le rivelazioni sulle conversazioni tra Chaouqui e Ciferri scuotono il maxi-processo sulla gestione dei fondi della Santa Sede.
Nuove rivelazioni gettano un’ombra pesante sul processo vaticano che ha visto la condanna in primo grado del cardinale Angelo Becciu per peculato e abuso d’ufficio. Il quotidiano Domani ha pubblicato una serie di chat finora tenute riservate tra Francesca Immacolata Chaouqui e Genoveffa Ciferri, interlocutrice chiave di monsignor Alberto Perlasca, il grande accusatore dell’ex sostituto della Segreteria di Stato.
Le conversazioni, rimaste fuori dal processo per scelta del Tribunale e dell’Ufficio del promotore di giustizia, suggeriscono uno scenario inquietante: interferenze sistematiche nelle indagini, regia occulta nella costruzione del memoriale di Perlasca, e contatti diretti con il procuratore vaticano Alessandro Diddi. Il tutto mentre in aula si consumava il processo più controverso della storia recente della Santa Sede.
La frase che incendia il caso: “Se scoprono che eravamo tutti d’accordo è finita”
È questa la riga di testo, contenuta in una delle chat e riportata da Domani, che ha fatto saltare la diga del silenzio. Una frase che secondo il cardinale Becciu “è più che eloquente”. Un’ammissione diretta, un indizio chiave – secondo la difesa – di un’indagine nata già viziata da un pregiudizio colpevolista.
Il cardinale, che si è sempre dichiarato innocente, ha reagito con parole durissime: “Sin dal primo momento ho parlato di una macchinazione ai miei danni – ha detto in una nota –: un’indagine costruita a tavolino su falsità, che cinque anni fa ha ingiustamente devastato la mia vita e mi ha esposto a una gogna di proporzioni mondiali. Ora, finalmente, spero che il tempo dell’inganno sia giunto al termine”.
Una regia occulta? Le chat mettono a nudo le ombre dell’inchiesta
Le conversazioni tra Chaouqui – già condannata nel caso Vatileaks – e Ciferri delineano un ruolo attivo della prima nel suggerire contenuti e orientamenti per le dichiarazioni di Perlasca. In un messaggio del 3 settembre 2020, Ciferri scrive: “Buongiorno Francesca. Scrivimi per bene quella cosa che desiderano i magistrati”. E poco dopo, a conferma della direzione presa dall’interlocutrice, aggiunge: “Fantastico come tu faccia a sapere queste indiscrezioni! Comunque non mi permetterò mai di chiederti come fai e con chi ti rapporti”.
Non è solo il contenuto a far discutere, ma anche il fatto che queste chat siano rimaste escluse dal fascicolo processuale. Una scelta che, secondo Becciu, ha impedito di smascherare per tempo quello che definisce “un complotto scientificamente orchestrato”.
Difese sul piede di guerra: “Processo falsato fin dall’inizio”
Gli avvocati di Raffaele Mincione – finanziere co-imputato con Becciu per la discussa compravendita del palazzo londinese di Sloane Avenue – parlano apertamente di “manipolazione del processo”. In un comunicato firmato da Gian Domenico Caiazza, Andrea Zappalà, Ester Molinaro e Claudio Urciuoli, si legge: “Le conversazioni emerse rivelano il coinvolgimento attivo dell’autorità giudiziaria vaticana e degli investigatori, nonché di soggetti estranei alle indagini e al processo, nella preparazione della testimonianza di monsignor Perlasca”.
Il team legale ha depositato un esposto presso le Nazioni Unite, indirizzato a Margaret Satterthwaite, relatrice speciale per l’indipendenza dei giudici. Una mossa che alza il livello dello scontro e porta il “processo vaticano” fuori dai confini della Santa Sede, nel cuore della diplomazia internazionale.
Il Vaticano tace, ma la scossa è forte
Dalla Segreteria di Stato non è arrivata, per ora, alcuna replica ufficiale. Né l’Ufficio del promotore di giustizia ha commentato le rivelazioni. Ma nei Sacri Palazzi – secondo indiscrezioni raccolte da La Croix e Il Foglio – la tensione è alle stelle. I sostenitori di Becciu parlano apertamente di “accanimento”, mentre nella Curia si teme che l’appello, fissato per il 22 settembre, si trasformi in un processo al processo.
In ambienti diplomatici si guarda con preoccupazione all’impatto internazionale di una vicenda che mette in discussione la credibilità della giustizia vaticana. “L’assenza di imparzialità e la manipolazione del principale testimone d’accusa non rappresentano semplici vizi formali, ma elementi che minano la validità dell’intero giudizio”, affermano gli avvocati di Mincione.
Un caso che travolge equilibri interni e internazionali
A preoccupare è anche il ruolo di Francesca Chaouqui, figura ricorrente negli scandali vaticani dell’ultimo decennio. La sua capacità di accedere a informazioni riservate, suggerire contenuti, manovrare il contesto, riapre interrogativi mai sopiti sul potere delle “reti parallele” nella Curia.
Intanto Becciu ha dato mandato ai suoi avvocati Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo di “intraprendere ogni azione giudiziaria necessaria per fare piena luce su condotte così sconcertanti, che nulla hanno a che fare con la ricerca della verità”.
Ma ormai il vaso di Pandora è stato aperto, e le domande sono più delle risposte: chi sapeva cosa, e quando? Le testimonianze sono state condizionate? Il processo è stato costruito su basi fragili, se non scorrette?
Domande che attendono risposta in un’aula di tribunale. Ma anche nei corridoi del potere, dove la verità – spesso – fatica a farsi strada.