Le prove sulla buona salute di Alberto Trentini sono finalmente arrivate, ma il contesto rimane cupo. Il giovane cooperante veneziano, detenuto da oltre due mesi in Venezuela mentre operava con le ONG Humanity e Inclusion, è divenuto suo malgrado simbolo di un braccio di ferro politico che coinvolge Caracas e le relazioni internazionali.
Venezuela, ombre e verità: il caso Trentini e le accuse cilene a Maduro
Nel frattempo, dall’altra parte del continente, il Cile punta il dito direttamente contro il governo di Nicolás Maduro, accusandolo di essere dietro l’omicidio di un oppositore militare trovato morto nei sobborghi di Santiago. Due vicende apparentemente separate, ma che in realtà si inseriscono in una più ampia partita geopolitica in cui il Venezuela si muove tra repressione interna, isolamento internazionale e ricerca di alleati.
Il caso Trentini e il doppio volto di Caracas
A quanto apprende l’ANSA, le prove sulle condizioni di Trentini sono state fornite attraverso un canale diplomatico, una strategia già adottata in passato dal regime di Maduro per contenere le pressioni internazionali. Il messaggio è chiaro: il giovane italiano è vivo e sta bene, ma rimane sotto custodia delle autorità venezuelane. Nessuna parola sui dettagli della detenzione, nessuna trasparenza sulle accuse, nessuna garanzia sulla sua liberazione imminente.
Trentini non è il primo cooperante a trovarsi intrappolato in un sistema che vede nel controllo dell’informazione e nella detenzione arbitraria un’arma politica. Il Venezuela ha una lunga storia di arresti mirati contro attivisti, giornalisti e membri di ONG accusati di essere “agenti stranieri” o “sovversivi”. Dietro a ogni liberazione o rassicurazione c’è sempre una contropartita diplomatica: Caracas gioca sulla leva dei prigionieri per ottenere concessioni in termini di sanzioni, riconoscimento internazionale o allentamento delle pressioni economiche.
La storia recente mostra che gli stranieri detenuti in Venezuela vengono rilasciati spesso in coincidenza con trattative tra il governo e potenze occidentali. Nel caso di Trentini, la domanda è: chi sta negoziando dietro le quinte e cosa chiede il regime di Maduro in cambio?
Il Venezuela e l’ombra lunga delle esecuzioni extragiudiziali
Se la vicenda Trentini solleva interrogativi sulla strategia di repressione interna del regime, le accuse mosse dalla Procura cilena a Maduro sono un nuovo tassello che conferma l’espansione della sua rete di controllo e vendetta oltre i confini nazionali. Il militare oppositore trovato morto nei sobborghi di Santiago non è un caso isolato.
Negli ultimi anni, più di un ex membro delle forze armate venezuelane, rifugiatosi in Sud America per sfuggire alla persecuzione del regime, è finito vittima di misteriosi omicidi o sparizioni. La logica è chiara: il chavismo non dimentica e, laddove possibile, cerca di eliminare fisicamente i traditori. Non è una novità per i regimi autoritari. Dal Cremlino al regime iraniano, gli omicidi mirati all’estero sono un’arma di intimidazione e di riaffermazione del potere.
Il Cile di Gabriel Boric, che ha assunto una posizione critica ma ancora dialogante con Caracas, si trova ora a dover rispondere a una questione spinosa: fino a che punto il regime venezuelano ha esteso il suo braccio repressivo nel continente? E soprattutto, quale sarà la reazione diplomatica?
Il chavismo e il bilanciamento del terrore
Maduro si muove su un filo sottile. Sa che il Venezuela non può permettersi un isolamento totale, specialmente ora che il mercato petrolifero globale sta tornando a interessarsi al greggio venezuelano. Ma al tempo stesso, non può perdere il controllo interno del Paese, dove la crisi economica continua a logorare la popolazione e le tensioni sociali restano alte.
Ogni arresto, ogni assassinio mirato, ogni gesto di apparente apertura diplomatica è calcolato per mantenere saldo il potere. Il caso Trentini, le esecuzioni in Cile, la repressione degli oppositori, tutto rientra in una strategia ben collaudata: terrorizzare per dissuadere, dialogare per sopravvivere.
Nel frattempo, l’Europa e l’Italia si trovano di fronte a un dilemma classico: fino a che punto spingersi nel condannare il regime senza compromettere la possibilità di ottenere la liberazione di un proprio cittadino? La diplomazia italiana ha sempre adottato un profilo basso in casi simili, evitando dichiarazioni di rottura e preferendo la strada delle trattative silenziose.
Ma mentre a Roma si cerca una soluzione discreta, a Caracas si continua a giocare con le vite umane come pedine su una scacchiera.