Trump impone il 5% del Pil per la difesa, attacca la Spagna e tratta con Putin: l’Europa applaude, ma non decide.
Trump comanda, l’Europa paga: la Nato in saldo permanente
Se c’era un dubbio su chi detti le condizioni all’interno della Nato versione 2025, il vertice dell’Aia lo ha spazzato via. Donald Trump non solo è tornato a dominare la scena, ma ha incassato un risultato clamoroso: l’impegno formale dei 32 alleati a portare la spesa per la difesa al 5% del Pil entro il 2035. Un raddoppio secco rispetto al famigerato 2%, che da anni divide le cancellerie europee.
Ma questa, più che una prova di forza collettiva, è l’ennesima ratifica della legge del più forte. E il più forte – lo si è capito – è tornato a essere l’America di Trump, che decide quanto e come si spende, chi è dentro e chi è fuori, chi merita il bastone e chi (forse) la carota.
Il conto lo fa Washington
Il piano è stato salutato dal segretario generale della Nato Mark Rutte come “un salto quantico”* nella difesa comune. Ma è lo stesso Rutte a riconoscere: “Senza Trump questo accordo non ci sarebbe mai stato”. Traduzione: l’Europa si è piegata, ancora una volta, alla logica del ricatto americano.
E lo ha fatto senza garanzie vere. Perché il 5% suona bene nelle conferenze stampa, ma nessuno ha chiarito da dove arriveranno i fondi, né quali voci di bilancio saranno sacrificate. Le spese sociali? La transizione verde? Gli investimenti tecnologici? Tutti interrogativi lasciati in sospeso in nome di una sicurezza “muscolare” ma priva di visione strategica autonoma.
Madrid sotto attacco, il caos diplomatico
A mostrare il volto più aggressivo del trumpismo è stata l’invettiva contro la Spagna. “Quello che ha fatto è terribile, pagherà il doppio sui dazi”, ha tuonato Trump il 25 giugno, accusando Madrid di non rispettare l’impegno economico.
Una minaccia che suona come un avvertimento a tutti: o vi allineate, o vi puniamo. Ma è anche una palese ingerenza nei rapporti commerciali interni all’Ue: i dazi non si negoziano bilateralmente.
La premier italiana Giorgia Meloni ha provato a disinnescare: “Il testo firmato è lo stesso”, ha detto. Ma non ha potuto smentire il fatto che Trump sta usando la Nato come leva di pressione economica, trasformando l’alleanza in una piattaforma politica personale.
La guerra in Ucraina resta sullo sfondo
Nel frattempo, l’Ucraina continua a bruciare. Gli attacchi russi si intensificano, i morti civili si contano a decine eppure il vertice ha dedicato a Kiev solo frasi di circostanza.
Nessuna apertura sull’adesione, nessuna roadmap chiara. Solo generici impegni su forniture militari e cooperazione industriale, ribaditi da Zelensky: “Abbiamo parlato di difesa aerea e co-produzione di droni”.
Ma Trump ha chiarito il suo obiettivo: “Penso sia un ottimo momento per finirla”, ha dichiarato, promettendo un colloquio con Putin. A questo punto la domanda è legittima: quale pace vuole Trump? E soprattutto, a che prezzo per l’Ucraina e per l’Europa?
L’Europa resta muta
Il vertice dell’Aia ha offerto l’ennesimo spettacolo di impotenza strategica da parte europea. Le dichiarazioni di Macron e Merz sono state ordinate, composte, ma del tutto subalterne.
L’unico punto fermo sembra essere il continuo affidamento alla protezione Usa, nonostante le umiliazioni pubbliche. In un quadro in cui la Russia viene definita ancora “minaccia strutturale” e Putin mantiene ambizioni “oltre l’Ucraina” (parola di Trump), il rischio è quello di un’Europa militarmente potenziata ma politicamente svuotata.
Più armi, meno strategia
Chi esce davvero rafforzato dal vertice Nato? Trump. Ha costretto gli alleati a un impegno pesante, li ha messi pubblicamente in riga, e ha rilanciato il proprio ruolo di “deal maker” globale.
Ma la Nato, così come l’Europa, si ritrova più armata ma meno sovrana, più allineata ma più esposta a un’agenda americana che cambia al ritmo delle elezioni Usa.
E la Spagna? Per ora resta l’unico paese ad aver avuto il coraggio di alzare la testa. Ma il prezzo lo deciderà Washington. Come sempre.