The European House - Ambrosetti: le sfide per l’industria del Fashion & Luxury

- di: Flavio Sciuccati, Partner e Responsabile della Global Fashion Unit di The European House - Ambrosetti
 
È in corso la Milano Fashion Week 2022, momento apicale per i brand del Made in Italy, che si inserisce in un fitto calendario di kermesse mondiali, in formato phygital o interamente digitale. Mentre l’attenzione del pubblico viene rapita dalle passerelle create per l’occasione dai direttori creativi, un’immensa e articolata macchina industriale è al lavoro per far sì che tutto proceda senza intoppi.

Questa “macchina” è messa in moto da centinaia di migliaia di persone (solo in Italia), ripartite all’interno di innumerevoli fasi produttive e processi di trasformazione, che gestiscono una varietà di materiali e tecnologie all’avanguardia, coniugando sapienti competenze a metà tra le arti ed i mestieri. Il loro lavoro, invisibile agli osservatori esterni, consente a centinaia (migliaia, se consideriamo il mondo intero) di brand di andare in scena con le proprie collezioni e presentazioni di prodotto nei tempi giusti e con quanto di meglio la loro creatività abbia voluto esprimere per gli operatori del settore ed il mercato intero.

Un processo così complesso e delicato si deve necessariamente confrontare con ostacoli e difficoltà di varia forma e natura, che esistevano ben prima dell’arrivo della pandemia. Gli elementi di criticità che tutte le aziende del fashion si trovano ad affrontare attualmente sono essenzialmente dieci. Qui di seguito ne presentiamo i primi cinque.

Milano Fashion Week 2022

1. Strategia “camaleontica dei Brand” (soprattutto dei grandi)

In questi anni, non c’è grande brand che non si sia rinnovato, spesso anche mutando la propria pelle, su tutti e tre i fronti strategici della propria offerta/proposta: comunicazione, ingaggio del consumatore e distribuzione. Richiede innovazione e adattabilità continua in tutti i comparti industriali e per tutte le categorie prodotto (prodotti, materiali, processi, tecnologie, ecc.). 


2. “Retailing” crescente

Lo spostamento progressivo dalla distribuzione Wholesale al Retail induce, inesorabilmente, l’industria e le sue supply chain a fornire prestazioni di tipo “demand driven” e “event driven” e non più guidate solo o principalmente dai tempi stagionali e dai ritmi di “supply”. Il canale Retail, per sua natura, è un contesto/flusso che va continuamente “animato” con idee, nuove proposte, eventi… Sempre ponendo il Consumatore al centro (tema ovvio ormai per i più).


3. Omni-canalità, digitale e modelli Direct To Consumer

Non esiste azienda del settore che, ormai, tra fisico e on line non si cimenti con almeno 4-5 canali diversi (DOS, Multimarca, Franchising, Business Partner, Travel, Outlet, eCommerce…). Le supply chain (a livello sia di sviluppo prodotto che di produzione e logistica) sono quindi fortemente sollecitate a livello di prestazioni di velocità, flessibilità, versatilità, il tutto correlato, evidentemente, alla dimensione di complessità/varietà dei prodotti e dei processi che l’azienda ha deciso di presidiare e gestire.

4. Collaborazioni creative

Tutto il mondo del Fashion si è cimentato in questi anni in progetti e processi creativi congiunti (tra progetti strutturati o lanci isolati) e i più attenti e bravi lo faranno in misura sempre maggiore, dato che gli studi dimostrano come il “ciclo creativo” abbia una sua durata fisiologica di seguito e di attenzione e debba essere continuamente rilanciato e animato. Le esistenti supply chain, che per loro natura sono strutturate per cercare di essere stabili e catturare economie di scala, sono in difficoltà nella gestione di questi progetti e devono letteralmente reinventarsi, su scala più piccola, relativamente a nuove tipologie di prodotti e con “time to market” sempre più rapidi.

5. Pressione sui costi e mark-up

Da sempre, la parte “upstream” del settore (l’industria e le sue numerose filiere produttive) e la parte “downstream” (i brand e la loro distribuzione) sono in aperta discussione per la forte pressione sui costi dei materiali e dei prodotti, che incidono mediamente non più del 15-20 % del prezzo finale al consumatore (e almeno il 40-50% di questa incidenza è dovuta al puro costo di manodopera qualificata). È storia nota nella “catena del valore”, tuttavia è giusto domandarsi da che parte penderà la bilancia (economica) nei prossimi anni, per attuare tutti gli investimenti necessari in tecnologia dei materiali, sostenibilità dei prodotti, tracciabilità delle supply chain, senza dimenticare i costi dell’energia e della transizione energetica. Le aziende a monte potrebbero non essere in grado di assorbire questi ulteriori costi nei loro margini.

Articolo a cura di The European House - Ambrosetti
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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