Dal cubo al convento è un attimo

- di: Barbara Leone
 
Non bastavano il Grande fratello, l’Isola dei famosi, le pupe, i secchioni e le Temptation Island. Mo’ ci si mettono pure le suore a dare man forte all’universo reality. Della serie stavamo scarsi a schifezze. Ti spedisco in convento, pare una minaccia e invece è l’ultimo reality che spopola sui canali targati Discovery, figlio di un format britannico dove, pare, vada per la maggiore. Giunto alla seconda edizione, anche qui da noi (ahinoi) il programma è molto seguito. Domenica scorsa, infatti, nonostante il MotoGp ha portato a casa un abbondante 2% di share, che per Real Time è un più che ottimo risultato. Già dal primo frame si capisce subito che l’impresa è ardua. Quella delle suore, che dovrebbero riportare sulla retta via sei ragazzuole in stile cubista, strafottenti e maleducate, peggior esempio della loro generazione che per fortuna è molto ma molto migliore di loro. Ma altrettanto ardua è l’impresa dei telespettatori, dal momento che arrivare alla fine della puntata è pressoché impossibile. Ti va venire l’orticaria, il mal di mare, un nervoso addosso pazzesco. Perché da una parte ti verrebbe voglia di prendere a ciabattate in fronte queste fanciulle: insopportabili, fastidiose, aggressive, repellenti peggio delle zanzare ad agosto. Dall’altra, però, le suorine non si reggono proprio: accomodanti ai limiti dello zerbino, melense, così esageratamente comprensive che non ci crede nessuno. Sono poco credibili. Perché, diciamo la verità, chiunque abbia avuto a che fare con le suore lo sa: la quasi maggioranza non sono né accomodanti né comprensive. Perlomeno non quelle dei vari convitti, collegi o pensionati studenteschi dove, dietro lauta retta, ospitano ragazze che solitamente non hanno nemmeno una milionesima parte della maleducazione di queste quattro (anzi sei) scappate di casa.

Giunto alla seconda edizione, anche qui da noi il programma è molto seguito

A vedere le non reazioni di queste suorine qua, di reality non c’è proprio nulla. Così dolci e care che si fanno mettere i piedi in testa da sei tanghere a cui è mancato veramente qualche ceffone, o perlomeno qualche sano no. E l’abc della buona creanza. Tipo dare del lei a chi è più grande di te: siamo proprio alle regole elementari eh. Per non parlare del vocabolario: tre parole in croce, di cui due sono parolacce. Già per una cosa così, le nostre madri ci mandavano in riformatorio, altro che convento! Ma torniamo alle suorine, che miciomicio miaomiao però una piccola cattiveria gliela fanno pure. Anzi, una bastardata, ma di quelle perfide: la messa in stereofonia nelle camere, con tanto di organo e canti a palla, tramite filodiffusione. All’alba. Ecco, già solo con questa hanno vinto. Perché farebbe imbufalire anche un santo. Dal canto loro, le fanciulle hanno una personalità talmente basic da risultare, oltre che detestabili, anche noiose. Sono scontate: parolacce su parolacce, qualche bestemmia, eccessi d’ogni genere, furti di alcol, isterismi vari e finanche denudamenti. Sì, perché tra le tante regole previste dal convento, e dal programma perché chiaramente non stanno lì con la pistola puntata alla tempia ma solo per la tanto agognata visibilità, c’è pure quella d’un un abbigliamento consono all’ambiente che le ospita. E anche qui, ci pare proprio l’abc. Ma di fronte alla più che legittima richiesta della madre superiora di accantonare minigonne ascellari, orripilanti leggins leopardati e tacchi da cubista qualcuna ha ben pensato di denudarsi. Siccome tu, suora, dici che quello che appare non è la persona e quello che c’è fuori è qualcosa di superfluo io mi spoglio, e me ne vado in giro nuda. Perché è così che esprimo me stessa.

Non c’è limite al trash

E lo fa, lo fa davvero. Del resto non ha tutti i torti, dal momento che, nella fattispecie, la fanciulla in questione si guadagna da vivere girando video in cui si mostra come mamma l’ha fatta. E qui la suorina almeno un urlo l’ha lanciato, vivaddio. Non c’è limite al trash. E dire che c’è chi lo ha definito docu-reality, addirittura esperimento sociale. A noi pare più una mezza, e mesta, commediuola all’italiana. Che potrebbe benissimo intitolarsi: dal cubo al convento è un attimo. Una commedia, però, che non fa ridere affatto. Anzi. E’ d’una tristezza infinita: una fotografia perversa, e per fortuna iniqua, di una realtà allo sbando dominata dalla mediocrità, dall’arroganza e dalla villania. Questo passa il convento? Speriamo proprio di no.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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