Felice di essere stupida

- di: Barbara Leone
 
Sono trascorsi vent’anni. Volati via in un battito d’ali, così come in un battito d’ali è cambiato il mondo. Eppure sembra ieri. Freschi freschi di euro, coi Paesi della Ue che erano ancora 12, le prime scioccanti immagini di Guantanamo e George W. Bush che definisce Iran, Iraq e Corea del Nord “l’asse del Male”. E’ il 30 gennaio del 2002 quando in una villetta che pare uscita dalle fiabe incastonata nel cuore del Gran Paradiso, una mamma in lacrime chiama il 118 con voce tremula perché il suo piccolo bambino ha la testa spaccata piena di sangue e non sa come possa essere successo. Comincia così il “caso Franzoni”. Forse il più mediatico del nostro Paese, con l’opinione pubblica spaccata tra colpevolisti e innocentisti che per la prima volta entrano a gamba tesa nel mondo dell’informazione partecipandovi in maniera orizzontale. Dietro l’angolo la rivoluzione dei social, anticipata alla perfezione dal carico di violenza verbale e manichea che il “caso Franzoni” s’è portato dietro. Il tutto macabramente condito dal famoso plastico della villetta di Cogne in bella mostra da Vespa, dall’entrata in campo dei Ris di Parma, dall’onnipresenza dei vari avvocati Taormina e compagnia cantando nei tantissimi talk show e soprattutto da lei: Annamaria Franzoni. La mamma bambolina con gli occhioni da cerbiatto, che proprio non te la immagini a maciullare nel letto il corpo del figlioletto Samuele, di appena tre anni, con ben 17 colpi sferrati senza pietà alcuna con un’arma che non è mai stata ritrovata. Quando singhiozzante, giura in tv di non averlo ucciso è quasi impossibile non crederle. Anche se nel tempo le sue frasi a dir poco infelici hanno alimentato l’atroce dubbio che fosse stata proprio lei a compiere quell’efferato delitto. Una su tutte: “Ne facciamo un altro di figlio? Mi aiuti a farne un altro?”, detta al marito Stefano pochi minuti dopo l’arrivo dei soccorsi sul luogo della morte del figlio. Fino al celebre: “Ho pianto troppo?”, durante un fuorionda di una delle tante, troppe, interviste televisive. Cosa sia passato per la testa di questa mamma, condannata nel 2008 in via definitiva dalla Corte di Cassazione a sedici anni ed oggi libera per buona condotta dopo aver scontato solo sei anni di carcere, non lo sapremo mai. Quello che, però, vorremmo tanto sapere è cosa è passato mai per la testa a chi in questi giorni ha messo in vendita una tazzona da colazione con su scritto: “Un po’ la Franzoni la capisco”. Tazza che, oltretutto, viene pubblicizzata sui social affinché diventi un regalo da fare in occasione dell’imminente festa della mamma.

A lanciarla la nota azienda barese Piattini Davanguardia, che da anni fa parlare di sé per le sue creazioni caratterizzate da frasi ironiche e grottesche. Ma non è questo il caso. Perché questa tazza, venduta al modico prezzo di 25 euro, presenta una messaggio che non ha poco o nulla a che vedere col tanto sbandierato, ed inflazionatissimo, black humor di cui l’azienda, e tutti i suoi sostenitori, si fregiano. Un messaggio ambiguo e fraintendibile. Non è né ironia, e nemmeno banale cattivo gusto. E’ semplicemente aberrante. Oltre che profondamente irrispettoso nei confronti di un bambino ucciso, ed anche verso la mamma laddove ella sia stata colta da un raptus di follia. Follia che, evidentemente, gli ideatori di questa schifezza (perché di schifezza trattasi) tendono in qualche modo giustificare. “Avere una crisi d’ira nei confronti di un figlio è lecito così come tante mamme si sono trovate nella situazione di aver pensato ‘lo uccido!’”, scrive l’azienda sui social in risposta alla valanghe di critiche ed insulti. Della serie: quando la pezza è peggio del buco. La verità è che oramai tutto è lecito in nome del dio marketing, e dell’ancor più dio danaro. E sinceramente non so se fa più orrore chi le commercializza o chi difende tali turpitudini arrivando finanche ad acquistare e regalare questo ripugnante oggetto per la festa della mamma.  In molti giustificano la cosa perché è black humor, ed è solo per persone molto intelligenti. Felice di essere stupida.
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