Grilloburger: il bluff della sostenibilità

- di: Barbara Bizzarri
 
Come sempre, Milano si mostra all’avanguardia soprattutto quando si tratta di fare eco alla propaganda europeista sbrindellaItalia, e quindi dalla presunta capitale (im)morale del Paese in cui tutte le scemenze trovano riparo e conforto, arriva la notizia che stavamo aspettando da tempo: una catena di ristoranti ha aggiunto al suo menu il Grillo Cheeseburger, realizzato con l’1,6% di farina di grillo, appunto, patate, scamorza (non si ricorre ai grilli per limitare le emissioni di CO2 causate dall’allevamento bovino?), fagioli, altre amenità assortite per tener insieme il tutto e colorante verde (il tocco di classe di cui si sentiva la mancanza). Come da copione, è partita la propaganda a reti unificate volta a indottrinare la plebe belante: ed ecco che mercenari di ogni tipo si prestano a intonare peana su questo ennesimo calcio in faccia al Made in Italy (e al Patrimonio Culturale Immateriale dell’umanità targato Unesco), mentre ingoiano con sguardo vacuo panini che di sostenibile hanno soltanto l’etichetta (finta) rassicurando sul loro sapore alla nocciola, mentre i titoli sfiorano il ridicolo: dal “gusto deciso” scippato dal claim di un amaro, all’apoteosi del panino bello e “instagrammabile”, così da rendere felici i pirla che possono postare le foto sui social dei loro piatti in un giro immortale di presa per i fondelli. Un volenteroso conduttore tv ha avuto un mancamento quando ha sentito dal suo solerte inviato che il grilloburger costa la modica cifra di 13 euro e novanta, poi però viene richiamato all’ordine, si riprende e annuncia che cavallette e mosche, lungi dall’ essere castighi biblici, adesso sono diventati il futuro dell’umanità, mentre malghe e mucche rappresentano il passato.

A Milano debutta l'hamburger di grillo

Così, mentre all’estero cresce l’export dei prodotti alimentari italiani, qui, dopo essere  riusciti a persuadere che le case inquinano, ci vorrà molto meno per costringere a ingoiare quello che, un tempo, se trovato nelle cucine dei ristoranti faceva chiudere i locali dai NAS: del resto, le case e i risparmi degli italiani non sono mai andati giù agli incorruttibili (si è visto) di Bruxelles, che si stanno adoperando per eliminarli, o magari impossessarsene, il più velocemente possibile, e allora il minimo che ci si possa aspettare, dopo essere stati spogliati di tutto, è che ci facciano mangiare sterco con la scusa di salvare il pianeta, e presumibilmente causare un bel po’ di malattie tanto da continuare a togliere il disturbo. Chissà se un giorno assisteremo a una pandemia da reazioni alla chitina e, come già visto, anche in quel caso sarà tutta colpa degli incauti che si sono fidati dei venti green che spirano sul continente. Verde come il denaro, la sirena a cui proprio non sanno resistere e che resta occultata agli occhi dei più, altrimenti sarebbe chiaro che questa spinta alla transizione ecologica è il solito belletto pro opinione pubblica adatto a coprire affari colossali. Da poco è stata annunciata la follia del bando delle auto a benzina e diesel dal 2035, per limitare l’inquinamento, dicono. Si dice lotta all’inquinamento, si legge soldi: le auto elettriche, che dobbiamo comprare a tutti i costi, in realtà inquinano il triplo e sono prodotte in Paesi, vedi Cina e India, che non solo se ne sbattono allegramente di ogni protocollo politically correct ma, di fatto, creano più danni all’ambiente di tutte le altre nazioni messe insieme, però all’occidente piace troppo sentirsi protagonista e se c’è l’occasione di un autodafè a beneficio dei più creduloni di sicuro non si tira indietro. Probabilmente sarebbe ora di smuovere il deretano dalla poltrona, però si preferisce scendere in piazza per salvare il matrimonio dei Ferragnez, invece di farlo per salvare sé stessi dal bluff della sostenibilità pro arricchimento altrui. 
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