I primi 40 anni del cinepanettone "Vacanze di Natale"

- di: Barbara Bizzarri
 
Il pane manca. Sul ponte sventola bandiera bianca. Oppure, in mancanza d’altro, per tirarsi su c’è sempre lui, l’evergreen che compie quarant’anni: Vacanze di Natale targato 1983, che ha sdoganato un nuovo modo di fare cinema, le carriere di Calà e De Sica e perfino il mitico montone indossato pure da Messina Denaro che tutti si sono affrettati a copiare, anche a Carnevale (questo Paese non si salverà). Quando uscì, tutti i nostri spocchiosissimi critici hanno storto il naso: ma come? Salvo poi ricredersi anni dopo, come fanno sempre, prova ne è il martire Totò, morto con l’amarezza di non averli compiaciuti quando avrebbe dovuto essere il contrario ma si sa, nemo propheta in patria e, se poi la patria è questa, campa cavallo. Se sei avanti, ti verranno a scoprire quando è il loro turno, trent’anni dopo. E questa è stata anche la sorte del film che ancora dà luogo a citazioni, battute, gruppi di adoranti sui social e che riunisce attori di tutto rispetto fra cui i mitici e compianti Riccardo Garrone (sua una delle battute cult di tutto il film: alzi la mano chi in vita sua non ha mai detto: “levateje er vino!”, e se non siete di Roma è uguale, oppure, ancora meglio: “e finalmente questo Natale ce lo siamo levato dalle p..e!”), Guido Nicheli detto il Dogui (rivolto alla dolce metà, interpretata da Stefania Sandrelli: “Ivana, fai ballare l’occhio sul tic: via della Spiga-hotel Cristallo di Cortina, 2 ore, 54 minuti e 27 secondi. Alboreto is nothing!”) e Karina Huff: conosco gente che ha ancora la foto nel cellulare del sublime frame in cui, in pelliccia e con la faccia incredula, viene abbandonata per il richiamo materno dei “fusilli!” che provoca nel personaggio di De Sica un’amnesia momentanea di lei, delle valigie che le accolla, e di tutto il cucuzzaro per precipitarsi dalla genitrice, la bravissima Rossella Como. Uno stracult, per chi l’ha visto e per chi non c’era puro esempio di neorealismo dei dorati Anni Ottanta, girato dai fratelli Vanzina e prodotto da Luigi De Laurentiis e da suo figlio Aurelio, con una colonna sonora da manuale, che si apre sui titoli di testa con Moonlight Shadow di Mike Oldfield, e illumina una splendida, e fintissima, ma è il bello del cinema, discesa innevata: non c’era neve a Cortina quando il film fu girato, era settembre, ma la genialità di un tecnico del suono rese neve lenzuola e cotone idrofilo, nella più perfetta fotografia della società italiana di quel glorioso decennio, lontana anche dagli stereotipi della filmografia celentaniana o pozzettiana: c’è la Milano da bere, quella dei ricchi che, come il Dogui, si presentano in hotel  ammantati di una fastosa pelliccia,  c’è la Bologna opulenta, c’è la borghesia romana e i romani di borgata, che rimpiangono “Ovindolo”, vivono al di sopra delle proprie possibilità e hanno il volto iconico di Mario Brega in quella che è una formidabile, e crudele, disamina chirurgica fra ricchi di generazioni e arricchiti da disprezzare: “Quella famiglia di cafoni a Cortina…non voglio che i miei figli frequentino dei torpigna”.

Il Cinepanettone "Vacanze di Natale" compie 40 anni

A chi ancora blatera sull’arretratezza culturale italica suggerisco di recuperare l’autentico trattato di sociologia che il personaggio interpretato da Christian De Sica indirizza agli increduli genitori, rei di averlo sorpreso a letto con il maestro di sci, e che merita talmente tanto da essere riportato integralmente: “Mamma, il mondo va avanti, tu sei rimasta agli anni 50. Guarda come sei pettinata, c’hai ancora il testone da matta. Papà, a te t’ha fregato il benessere. Tu facevi il capomastro, invece oggi c’hai i soldi e te scandalizzi. M’hai mandato in America, a New York: noi semo de Frascati! E poi: mamma gioca a Gin al Circolo Canottieri e se veste da Versace? Tu te metti l’orologio al polso come Gianni Agnelli? E io vado a letto co’ Leonardo Zartolin, perché, nun se po’?”, con l’imperdibile chiosa finale, “Zartolin tenga, la mutanda!”: da sola, vale tutte le manicure e i limoni di Rosa Chemical, Fedez & C.  Quando in una sala mix di via Margutta, a Roma, ci fu l’anteprima tecnica alla presenza di produttori e registi, nessuno aveva pienamente compreso il potenziale del film. Tranne uno dei protagonisti, Christian De Sica, che con i suoi personaggi ha precorso tutto: dal tanga di Damiano (Compagni di scuola) all’abito stampato con le proprie fattezze (Borotalco). È accompagnato alla proiezione da Silvia Verdone. Quando si accendono le luci, tutto tace, poi Aurelio De Laurentiis si alza e chiede, con malcelata irritazione: «Ma che razza di film avete fatto?». Invece, lui, già l’indimenticabile Roberto Covelli, saluta la pellicola con una battuta imperdibile, rivolta alla moglie: «Il film è bello: Silviè, finalmente se magna». Più cult di così.
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