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Malasanità ad capocchiam

- di: Barbara Leone
 
Malasanità ad capocchiam
Di malasanità si muore. Lo sappiamo tutti, così come sappiamo quanto sia complicato, oltre che psicologicamente faticoso, dimostrare l’imperizia di un medico pure se è sotto gli occhi di tutti. Quand’anche poi quest’imperizia venga dimostrata, le conseguenze sono molto spesso assai blande. Se non nulle. Quello della malasanità è un flagello sotterraneo, subdolo e silente. Col covid, poi, le cose sono peggiorate a dismisura. Da due anni a questa parte, infatti, poter contare sulla professionalità e sull’empatia (anch’essa indispensabile, al pari della professionalità) di un medico è ancora più raro. Per carità, ci sono sempre le eccezioni che confermano la regola.

Di fronte a tutto questo gli ammalati sono quasi sempre impotenti

Ma con la scusa della pandemia sono molti, troppi, i medici che ci hanno marciato. Declinando responsabilità, procrastinando visite all’infinito, prescrivendo cure al telefono o molto più semplicemente rendendosi pressoché irreperibili. Proprio gli anziani, una delle famose categorie a rischio da proteggere ad ogni costo dal mostro covid, sono stati quelli che hanno pagato il prezzo più alto. Perché molto spesso sono stati abbandonati, unitamente alle loro fisiologiche patologie legate all’età che nulla avevano a che fare col covid. Col risultato che situazioni un tempo gestibilissime sono diventate serie, a volte letali. Tutto per la sciatteria, la noncuranza e per il lassismo di certi medici per i quali il covid è cascato a fagiuolo perché senza sapere né perché né per come si son potuti levare dalle scatole un bel po’ di seccature. Tradotto: pazienti fastidiosi e parenti ansiosi. Di fronte a tutto questo gli ammalati sono quasi sempre impotenti.

Eccessiva la condanna di un’infermiera di Latina

E lo sono anche quando le responsabilità sono tali da portare alla morte. La cronaca è piena di diagnosi sbagliate, negligenze e disattenzioni varie finite dritte all’obitorio. E poi nel dimenticatoio di una procura, relegati tra le impolverate pratiche accumulate su di una scrivania. Ecco perché appare curiosa ed eccessiva la condanna di un’infermiera di Latina, colpevole d’aver provocato un livido ad un paziente a seguito di un prelievo di sangue eseguito, evidentemente, non proprio correttamente. La vicenda, onestamente, ha dell’incredibile. La donna, infatti, ha affrontato tre gradi di giudizio fino alla sentenza  definitiva che l’ha condannata al pagamento dell’incredibile multa di ben ottanta euro. Oltre, ma è il caso di dire soprattutto, al risarcimento alla parte civile per tremila euro. Anni di battaglia giudiziaria e di perizie per stabilire cosa avesse provocato quell’ematoma all’arto superiore destro, peraltro guarito nel giro di trenta giorni. Si è scomodata finanche la Cassazione per cotanto giudizio. Un ematoma, molesto, doloro pure, ci mancherebbe. Ma pur sempre un ematoma. Detto terra terra; un banalissimo livido. Sia chiaro: una sentenza del genere ci potrebbe pure stare, ma nel momento in cui la stessa solerzia venisse applicata nei confronti di quei medici che sbagliano con conseguenze irreparabili. Allora sì che plaudiremmo a cotanta giuridica sollecitudine. Perché la legge è uguale per tutti. E pure la malasanità, che non può essere ad capocchiam. 
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