Niente di nuovo sul fronte digitale

- di: Barbara Leone
 
“Vox Populi, Vox Dei”, aveva cinguettato Elon Musk lanciando nei giorni scorsi il referendum per riammettere Trump su Twitter. E il popolo sovrano ha detto sì: Donald può tornare. Un referendum lampo, durato meno di 24 ore, che ha visto la partecipazione di oltre 15 milioni di utenti sparsi in tutto il mondo così divisi: 52% a favore, e 48% contro. Non un plebiscito di sì. Ma quanto basta per far ripartire la giostra. E infatti in men che non si dica gli uccellini del web si son spaccati a metà: da una parte i canti di giubilo al suon di libertahhh, libertahhh. E dall’altra gli indignados. Perché gli imbocconi ne hanno fatto una questione politica. Senza capire che la mossa di Musk è economica. E con la politica c’entra ben poco. O meglio, è uno specchietto per le allodole: il mezzo per raggiungere il fine. Che è, appunto, far soldi e riacciuffare per i capelli un fatturato in discesa libera. Solo pochi giorni fa, infatti, il neo patron di Twitter aveva fatto aleggiare sulle piume del social lo spettro della bancarotta. “Non è fuori questione”, aveva detto, aggiungendo che “senza significativi ricavi da abbonamento c’è una buona possibilità che Twitter non sopravviva al rallentamento economico”.

Elon Musk ha lanciato il referendum per riammettere Trump su Twitter

Una situazione disastrosa, dunque. Aggravata dall’inarrestabile fuga dei manager fra i quali i responsabili della sicurezza e della privacy. In tutto questo cosa c’entra Trump? Semplice: rappresenta un banalissimo amo, cui ovviamente hanno tutti abboccato. Perché il concetto è: gli utenti devono stare sulla piattaforma più a lungo possibile e devono interagire, condividere, commentare, ancora, e ancora. E’ la filosofia dei social, baby. O meglio, del loro business. Tutti funzionano così, nessuno escluso. Perchè gli inserzionisti solo una cosa vogliono sapere: quanto pubblico mi puoi garantire? Quanto sono presenti i tuoi utenti? Le vedranno le mie pubblicità? Mi conviene darti dei soldi? Dal canto suo Twitter ha sempre avuto un problema di utenti inattivi, quelli che per curiosità si iscrivono ma poi lo mollano. E al momento l’unico modo per riportali in piattaforma, avrà pensato Musk, è farli litigare tra loro dandogli un cavallo di Troia color pel di carota. E se l’argomento è la politica, pure meglio. I trolloni, gli utenti che provocano lo scontro, l’hate speech, la voglia di blastare, sono fondamentali per Twitter. Ed, anzi, ne rappresentano l’asset principale. Ed il trollone per eccellenza a livello mondiale indovinate chi è?

Proprio lui: il Donald Duck della politica a stelle e strisce. L’orange monster, il cheetoman, l’Adolf Twitter del web: sono solo alcuni dei tantissimi soprannomi appioppatigli dagli utenti. Che in un nanosecondo hanno nuovamente invaso il suo account riabilitato. Anzi, se prima contava 1,3 milioni di follower ora sono quasi il doppio. E dalla riattivazione sono passate solo poche ore. Uno tzunami di fan misti a odiatori da fare invidia a Putin. Nonostante, dal canto suo, l’ex presidente Usa abbia detto no grazie, sto bene dove sto. Ovvero su Truth, il social network da lui scelto dopo la cacciata di Twitter. Nel frattempo Musk se la ride sotto i baffi, che non ha, e incrocia le dita. Perché deve far funzionare un social pieno di debiti e fare soldi in fretta. Fa nulla se la sua piazza virtuale si faccia più tossica di quanto già non sia. Sono bazzecole, quisquilie e pinzillacchere. Avete visto? Trump è tornato. Vi siete già incacchiati? Ancora no? Svegliaaahhh! E la giostra continua a girare, insieme alle balls. Niente di nuovo sul fronte digitale.
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