Non chiamatele bestie!

- di: Barbara Leone
 
Ci sono giorni in cui vorrei decisamente fare un altro lavoro. Oggi è uno di quelli. Anzi, è uno di quei giorni in cui vorrei proprio non avere capacità di discernimento alcuna. Vorrei essere scema. Ore 4 del mattino. Solita rassegna stampa quotidiana. Come di consueto, coi colleghi ci dividiamo i blocchi: economia, politica, esteri. “Ba’, oggi tu fai esteri”. Come tutti i giorni, anzi le notti vista l’ora, sfoglio con cura tutti i giornali. Ne ho fatte di rassegne stampa in giorni difficili, ma mai come oggi è stato un pugno allo stomaco. E più passavano i minuti, più mi si attorcigliavano le viscere sino ad avere un vero e proprio conato di vomito, nel senso letterale del termine. Sorseggio il mio caffè bollente, e quasi non riesco a ingoiarlo. Me ne sto lì, imbambolata e incredula leggendo di neonati decapitati in culla, famiglie sterminate, bombe a raffica, cadaveri ovunque… Una caccia porta a porta, come ai tempi della Shoah. E non a caso il parallelo è stato colto da quasi tutti gli editorialisti. Non voglio addentrarmi nelle questioni di geopolitica, non ne ho né la competenza e sinceramente nemmeno la voglia. Torti, ragioni, opere e omissioni… Nel silenzio nero come il mio caffè e come il culo dell’inferno laggiù, rimbomba solo una parola: perché? E in mezzo a tutti i fiumi d’inchiostro in cui annega il mio pensiero, non riesco a trovare uno straccio, uno solo, di risposta. So solo che l’essere umano non è una bestia. Le bestie quelle robe lì non si sognano nemmeno lontanamente di farle. E se ammazzano, lo fanno solo per fame. O per difendersi, certo, ma per loro resta sempre e comunque l’ultima ratio. Non esiste sulla faccia della Terra una sola bestia che se la prenderebbe coi cuccioli per il solo gusto di fare del male. E saremmo noi gli esseri superiori? Quelli intelligenti e dotati di coscienza? Ma quale coscienza, che si è andata a far benedire da quel dì. In nome di quale Dio si possono commettere tali atrocità? Se pure Dio s’è dimenticato di noi, probabilmente arcistufo d’essere tirato in ballo ogni due per tre pur di giustificare i gesti più schifosi. Che assurda dicotomia: nascere lì, in quella Terra santa che diede vide il primo vagito di Gesù Cristo, equivale a una dannazione. Una condanna a morte, o all’odio verso i propri simili. Per un pezzo di terra, per un maledettissimo pezzo di terra siamo pronti a tutto. Anche a sgozzare un innocente in culla. La strage degli innocenti, titolavano i giornali per una volta allineati a cotante atrocità. Poi vabbè, c’è sempre chi dice ma, forse, se… Non è il momento dei ma, dei forse, dei se. E’ il momento del basta. Fatemi scendere da questa giostra degli orrori. Non c’è speranza per questo povero mondo, non c’è speranza per noi cuori ancora puri. Con tremila umani difetti, certo. Ma comunque puri, che non faremmo male nemmeno ad una mosca. Non si placa questo senso di stordimento. Guardo il calendario. 11 ottobre: San Giovanni XXIII Papa. E riecheggiano quelle lontane parole: “Tornando a casa, troverete i bambini, date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa”. Troverete i bambini… non in Israele, non in Palestina e non in tanti, troppi fazzoletti di mondo dimenticati da Dio. E da tutti noi.
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