Querelle Baglioni-Ricci: uno a zero per il Claudione nazionale

- di: Barbara Leone
 
Chissà che cosa gli avrà fatto mai Claudio Baglioni ad Antonio Ricci. Ce lo domandiamo da qualche anno. Almeno da quando, nel 2018, l’allora “dittatore artistico” del Festival di Sanremo (come ironicamente amava definirsi il cantautore romano) diventò il bersaglio preferito del tg satirico, che sera dopo sera lo demolì sistematicamente su tutti i fronti. Prima dal punto di vista estetico, vivisezionando ogni centimetro del volto paragonandolo a quello di Lurch della Famiglia Addams. Poi cominciò a picchiare pesante, perché passò ad attaccarlo sul fronte artistico accusandolo di scopiazzare qua e là i testi delle sue canzoni. Addirittura creò una rubrica giornaliera intitolata “Lo ZiBaglione”, nella quale passava ai raggi X ogni virgola delle sue canzoni cercando i corrispettivi tra poesie, racconti e libri vari. La cosa curiosa fu che a presentare codesta rubrica era il mago Antonio Casanova, che, guarda un po’, iniziò la sua carriera da prestigiatore esibendosi proprio al fianco Baglioni prima allo Stadio Olimpico e poi a Lampedusa nel corso di ‘O Scià, il festival ideato dall’ex ragazzo di Centocelle per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla questione migranti.

La cosa, ovviamente, non sfuggì ai fan di Claudio, che sottolinearono il “tradimento” del mago nei confronti di quello che per certi versi poteva esser considerato il suo mentore. Così come altrettanto curioso fu l’accanimento contro Baglioni del conduttore di Striscia Enzo Iacchetti, la cui canzone era stata casualmente bocciata da Baglioni proprio in quel Festival 2018 che, peraltro, ebbe degli ascolti pazzeschi. Insomma, all’epoca si avvertiva chiaramente un non so che di personale, perché davvero sembrava tutto molto ossessivo ed esagerato. A bufera finita, ecco che esce un e-book dal titolo alquanto allusivo: “Tutti i poeti con Claudio”, prontamente fatto recapitare a tutti i giornalisti di settore. Nel pamphlet il buon Ricci mette nero su bianco la sua bizzarra teoria secondo cui il divino Claudio altro non è che un impostore, un plagiatore, uno che insomma ha fatto successo sulle spalle degli altri. Interpellato più volte sul caso, Ricci peraltro ha sempre dichiarato apertamente di detestare il Claudione nazionale. Uno che, a detta sua, scalava le classifiche a suon di passerotti e magliette fine alla faccia dei cantautori impegnati. Quelli bravi, insomma, che parlavano di politica e diritti dei lavoratori e non di buoni sentimenti. Per carità, de gustibus non disputandum est. E però un tal pregiudizio non può giustificare cotanto accanimento. E difatti il libro, dietro denuncia di Baglioni stesso, è stato sequestrato perché, scrive il Gip di Monza, “quanto sostenuto dagli autori del libro e dal programma tv è in parte non veritiero, in parte frutto di manipolazione e non può dirsi che Claudio Baglioni sia un plagiaro, né che egli occulta sistematicamente e fraudolentemente i presunti plagi al pubblico”. 

La giustizia farà il suo corso, ma sommessamente vorremmo ricordare a Ricci and company che gli artisti dalla notte dei tempi si ispirano ad altri artisti. E’ la prima regola dell’Estetica (che è un ramo della Filosofia e non della Chirurgia), secondo cui non può esistere grande arte se non cita la tradizione. In sintesi, un’opera d’arte più è grande e più contiene una quota di citazioni da altri autori, oltre che una quota di innovazione e novità. Ergo, non è un errore, una debolezza e men che meno furbizia per un grande autore, poeta o cantautore, citare poeti, filosofi e personaggi della cultura nelle proprie opere. Anzi, è una grande dimostrazione di cultura e conoscenza del meccanismo dell’arte letteraria. Si chiama prestito letterario, rilettura e riadattamento di un testo, intertestualità in letteratura e parafrasi in musica. E lo hanno fatto tutti i grandi. A cominciare dal Foscolo, che per scrivere “In morte del fratello Giovanni” si ispira al Carme 101 di Catullo. O Leopardi, che nel “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” ribalta l’endecasillabo petrarchesco “ad una ad una annoverar le stelle” in “e noverar le stelle ad una ad una”. Franz Liszt, poi, sulle trascrizioni e parafrasi ci ha campato una vita. Vogliamo parlare poi dei cantautori impegnati tanto amati da Ricci? L’elenco è infinito. Si va da De Andrè, il cui “Non al denaro, non all’amore, né al cielo” è la versione musicata dell’“Antologia di Spoon River” e che costantemente si rifà a Georges Brassens oltre che alle fonti medievali. O Guccini, che certamente non ha plagiato Cervantes per il suo “Cyrano”.

Il professor Vecchioni, poi, nella sua “Samarcanda” richiama una favola orientale narrata nell’incipit del romanzo “Appuntamento a Samarra” di John Henry O’ Hara. Finanche “Bohemian Rhapsody” degli immensi Queen secondo la fotonica teoria di Ricci non sarebbe farina del loro sacco, dal momento che dietro questo capolavoro si intravede chiaramente il richiamo ad un romanzo simbolo del Novecento quale “Lo straniero” di Albert Camus. Da sempre, insomma, esistono immagini letterarie che entrano a far parte della cultura collettiva, e da cui gli altri artisti, quelli grandi e colti, attingono a piene mani. Il reato di plagio è ben altro. Quale sarebbe il peccato di Baglioni tale da fargli meritare questo dileggio mediatico tranchant e senza appello? L’aver citato in tempi non sospetti, quando tutti gli davano del melenso e del sempliciotto, Lucrezio Caro in “E tu come stai”, Trilussa in “Ninna nanna” e la Patetica di Beethoven in “Interludio”? Facendolo ha solo dimostrato d’essere una persona colta, sensibile, uno che legge e rielabora i grandi temi universali. Che poi gira che ti rigira amore bello, citazione voluta da Baglioni, sono sempre gli stessi. Anzi, il fatto che si sia ispirato nelle sue canzoni a testi o poesie di altri autori (cosa che peraltro ha ammesso in moltissime occasioni) non fa altro che comprovare la sua la sua grandezza. La verità è che, fango a parte, lui alla fine sarà sempre Baglioni. E tu, altra citazione voluta, chissà.
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