Volterra, la più settentrionale delle grandi città etrusche

- di: Teodosio Orlando
 
Il celebre scrittore inglese David Herbert Lawrence, in un suggestivo libro intitolato Etruscan Places, definì Volterra come “la più settentrionale delle grandi città etrusche dell’Occidente” e insieme “una sorta di isola interna, curiosamente isolata e cupa” (“Volterra is a sort of inland island, still curiously isolated, and grim”  Chi arriva a Volterra partendo dalla costa tirrenica, sita a 30 chilometri (mentre Pisa, della cui provincia fa parte come estrema propaggine, è a oltre 60 km), la vede progressivamente profilarsi su una collina rocciosa, che sembra convogliare tutti i venti, dalla valle del Cecina fino al mare: verso Sud i venti sembrano dirigersi su valli e alture fino alle punte dell’Elba, verso Nord sulle imminenti montagne di Carrara, verso l’interno sulle ampie colline delle Prealpi, fino al cuore della Toscana.

Utilizzando il treno Roma-Pisa, si deve scendere a Cecina, sul litorale tirrenico: fino al 2020, una pittoresca ferrovia portava fino alla stazione di Saline di Volterra. Chiusa per lavori, la riapertura è stata procrastinata a tempi indeterminati. In attesa che venga riaperta al traffico passeggeri, è giocoforza usare un autobus, ma, volendo, ci si può fermare presso le famose antiche saline ora di proprietà dello Stato, con uno stupendo padiglione progettato da Pier Luigi Nervi, che ospita la Cascata di Sale. All’interno è stato allestito il Museo delle Saline, che ripercorre la lunga storia dell’estrazione del sale in Toscana.

Sempre nell’ambito della Salina di Stato, è meritevole di attenzione il Palazzo dell’Orologio che fu costruito nel 1790 per ospitare le abitazioni dei dipendenti e subì ulteriori ampliamenti nei primi decenni: ancora oggi la salamoia viene pompata da pozzi profondi. Se fossimo nell’Italia di cent’anni fa, scesi dal treno verremmo trasferiti su una vecchia carrozza ferroviaria che striscerebbe come uno scarabeo su un’erta pendenza, grazie alla tecnica della cremagliera e a un piccolo motore diesel. Dobbiamo accontentarci di un bus o di salire a piedi, su per il ripido ma rotondo pendio: si risale lentamente una valle verde, romantica, dimenticata, a dispetto di tutto il via vai di antichi Etruschi e Romani, dei volterrani e dei pisani nel Medioevo, e del traffico moderno. 

Volterra appartenne alla Lega Etrusca delle Dodici Città, ma i primi insediamenti sulla collina cittadina risalgono al Neolitico. In realtà, il tessuto insediativo dell’attuale Volterra risulta assai più ridotto di quello abitato nel periodo di massima estensione, corrispondente al V-IV secolo a.C., quando la città, allora chiamata Velathri, fu a capo di una delle lucumònie (territori soggetti a un supremo magistrato, detto lucumone) della dodecapoli etrusca . 
In quel periodo, nel quale si ipotizza una popolazione urbana di 25.000 abitanti, avviene l’edificazione delle mura che, su un circuito di circa sette km, cingevano sia la città formatasi attorno all’acropoli, sia l’ampia necropoli del piano della Guerruccia.

Testimonianze della cinta muraria etrusca rimangono nella porta a Selci, in un tratto murario fuori porta Marcoli (presso la chiesa di Sant’Andrea Apostolo) e, soprattutto, nella monumentale porta all’Arco. Quando fu scoperto il minerale di ferro nelle vicinanze della città, l’insediamento di Velathri conobbe una sorta di boom economico, che ebbe un particolare apice a partire dal IV secolo a.C., allorché la città arrivò a coniare le proprie monete.
La grande estensione dei possedimenti e la potenza commerciale, unite all’orografia del territorio, accidentato e di difficile controllo, permisero alla città di resistere più a lungo di altre alla pressione di Roma: infatti, fu solo intorno al 260 a.C., ultima tra le città etrusche, che Velathri entrò a far parte della confederazione italica. Nell’Alto Medioevo, la città fu sede di un cosiddetto gastaldato, termine con cui i nuovi dominatori, ossia i Longobardi, designavano il territorio sottoposto a un amministratore delle rendite del re, il gastaldo, con attribuzioni civili, militari, giudiziarie e di polizia. Subì poi devastazioni durante i conflitti fra Berengario I, re d’Italia, e Adalberto marchese di Toscana (tra il IX e il X secolo d. C.). Sotto l’imperatore Ottone I, fu intrapresa una riedificazione con cui cominciò a realizzarsi il nucleo urbano della città attuale.

Ma occorre arrivare ai secoli XII e XIII, con l’affermarsi del libero Comune, per trovare una significativa trasformazione del tessuto insediativo: risale infatti a questo periodo la costruzione della nuova cinta di mura che avrebbe dovuto proteggere l’abitato, un po’ retrocesso e ridimensionato rispetto a quello etrusco (come nell’omologa Tuscania, in provincia di Viterbo) e concentrato lungo gli assi viari per Siena (le attuali vie Gramsci e Don Minzoni), per Firenze (via Guarnacci), per Pisa (le vie Ricciarelli e S. Lino) e per il litorale maremmano (le vie Matteotti e della Porta all’Arco). Il nuovo circuito si avvalse di una parte del manufatto etrusco-romano sul lato meridionale (da porta a Selci a porta all’Arco), mentre su quello settentrionale le mura inclusero i borghi sorti ai margini del castello come borgo Santa Maria (attualmente via Ricciarelli) e borgo dell’Abate (odierne vie dei Sarti e Buonparenti). Vennero aperte anche la porta Fiorentina (a nord) e quella di S. Francesco (a nord-ovest), entrambe munite di torri. Contemporaneamente venne edificato il palazzo del Popolo, poi dei Priori (dovuto al maestro Riccardo da Como, 1208-57) e si provvide alla sistemazione della piazza centrale, il cosiddetto «Prato», secondo la denominazione datale dai cittadini. Contigua era la piazza San Giovanni, in cui vennero aperti gli altri grandi cantieri della Cattedrale (i cui lavori di ampliamento cominciarono nel 1254) e del Battistero. Alla sistemazione delle due piazze, simbolo dei poteri civile e religioso, si accompagnò un incremento dell’edilizia privata secondo la formula della casatorre (un tipo di edificio medievale molto sviluppato verticalmente, usato come abitazione dai nobili in città) e della residenza fortificata, caratteristiche dell’organizzazione consortile delle classi allora egemoni. Dopo un periodo di aspri conflitti fra guelfi e ghibellini, dal 1361 Volterra entrò nell’orbita di Firenze, che dapprima velatamente, in seguito sempre più manifestamente, esercitò il dominio sulla città, finché, nel 1472, per assicurarsi il possesso delle miniere di sale e di allume, Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico, non esitò a intervenire con le armi, cancellando ogni forma di autonomia.

Si può entrare in città attraverso la Porta dell’Arco: si tratta di un antico e profondo portale, quasi un tunnel, con l’arco esterno rivolto verso la campagna desolata, costruito ad angolo rispetto alla vecchia strada, per cogliere il nemico in avvicinamento sul lato destro, dove lo scudo non lo proteggeva. Bello e rotondo l’arco si staglia verso l’alto, con quella particolare ricchezza di peso dei monumenti medievali; e tre teste scure, ormai prive di lineamenti, si protendono curiose, una dalla chiave di volta dell’arco, le altre da ciascuna delle basi, per guardare dalla città verso la ripida conca del mondo “esterno”. E in effetti, queste cupe e antiche teste etrusche della porta della città, anche se ora sono prive di nette definizioni del volto, hanno ancora una vita particolare, che si protende verso l’esterno. Alcuni archeologi sostengono che rappresentavano le teste dei nemici uccisi, appese alla porta della città. In realtà non sono appese, ma sembrano sporgere con una curiosa fuga in avanti, sicché altri studiosi pensano che fossero piuttosto divinità cittadine di antichissima origine.

Tra i luoghi menzionati, si può cominciare una visita dalla Piazza dei Priori, data la sua posizione nel cuore del centro storico (dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO), luogo di incontro e di mercato di Volterra fin dal XIII secolo. La Cooperativa Artieri dell’Alabastro, in piazza, offre visite guidate ai laboratori di alabastro: infatti, Volterra è anche famosa per la sua produzione di alabastro, una roccia sedimentaria usata per la creazione di manufatti e decorazioni.

Sulla piazza si staglia il Palazzo dei Priori (1208-1254), decorato dagli stemmi dei governatori fiorentini. È l’ex ufficio e residenza del Podestà e il più antico palazzo cittadino toscano conservato. Notevole è anche una torre il cui cornicione è ornato da un maiale in alabastro, popolarmente noto come “Porcellino”. Vi si aggiungono altri edifici, in parte merlati, dei secoli XIII e XIV, tra cui l’antistante Palazzo Pretorio, che fu sede del Capitano del Popolo fino al 1511 e successivamente dell’amministrazione fiorentina. 

La stretta via Turazza conduce alla cattedrale, consacrata nel 1120 e ampliata intorno al 1254, in stile romanico pisano. Il campanile fu ricostruito dopo un crollo nel 1493, ma un piano venne necessariamente rimosso, per motivi strutturali. L’interno a tre navate è stato in gran parte trasformato in stile rinascimentale nel XVI secolo: le pareti sono state rivestite di strisce, i capitelli e i fusti delle colonne sono stati decorati a più riprese e il soffitto è stato realizzato con la struttura a cassettoni. La grande “Deposizione dalla Croce” nel transetto destro – con le sue figure slanciate, una rarità nell’Italia dell’epoca – è stata conservata e ben si armonizza con l’arredo romanico. Il pulpito è stato assemblato nel XVII secolo utilizzando frammenti del XII e XIII secolo. I suoi rilievi del XII secolo raffigurano scene del Vecchio e del Nuovo Testamento. Meravigliosi esempi di pittura nel passaggio dal manierismo al barocco si possono scoprire nelle pale d’altare delle navate laterali, tra cui l’“Immacolata Concezione” del pittore manierista Niccolò Circignani detto il Pomarancio (1592). Il dramma barocco attraverso effetti di chiaroscuro è incarnato nei tre cupi dipinti della Cappella Inghirami, che raffigurano la vita e il martirio di San Paolo, opera del Domenichino. Degni di nota sono anche il baldacchino marmoreo del 1471 sopra l'altare e, nella Cappella dell'Addolorata, il gruppo policromo in terracotta “Maria e Giuseppe con il Bambino”, davanti a un affresco di Benozzo Gozzoli (Arrivo dei Magi).

Proseguendo la visita per le vie di Volterra, l’abitato assume sempre  di più quell’aspetto di “città di vento e di macigno”, come la definì Gabriele D’Annunzio nel romanzo Forse che sì, forse che no, dando così risalto al fatto che molti edifici storici sono costruiti usando una particolare pietra grigia, la “panchina”, ossia un calcare arenaceo, ricco di fossili marini, che si origina lungo i litorali e che in Toscana venne usato come materiale da costruzione.

D’Annunzio le dedicò anche una poesia, compresa in Elettra (il secondo libro della raccolta delle Laudi, pubblicato nel 1903), nel ciclo Le città del silenzio:

Volterra

Su l’etrusche tue mura, erma Volterra,
fondate nella rupe, alle tue porte
senza stridore, io vidi genti morte
della cupa città ch’era sotterra.
Il flagel della peste e della guerra
avea piagata e tronca la tua sorte;
e antichi orrori nel tuo Mastio forte
empievan l’ombra che nessun disserra.
Lontanar le Maremme febbricose
vidi, e i plumbei monti, e il Mar biancastro,
e l’Elba e l’Arcipelago selvaggio.
Poi la mia carne inerte si compose
nel sarcofago sculto d’alabastro
ov’è Circe e il brutal suo beveraggio.


Tra gli altri luoghi degni di nota e da visitare, citeremo la Chiesa di San Francesco, (XIII secolo) in Piazza Inghirami, a nord-ovest del centro storico. Nel 1315 vi fu aggiunta una cappella della Croce, che Cenni di Francesco adornò nel 1410 con un ciclo di affreschi sulla “Legenda Aurea” e sull'infanzia di Cristo – circa 25 anni dopo il ciclo di Gaddi in Santa Croce (Firenze) e 50 anni prima del ciclo di Piero della Francesca sulla “Leggenda di Santa Croce” (Arezzo).

Il palazzo rinascimentale Minucci-Solaini in via dei Sarti è sede della Pinacoteca e del Museo Civico. L'alta qualità della collezione, con opere di artisti fiorentini, senesi e volterrani, è dovuta soprattutto a pezzi importanti come la graziosa “Madonna con Bambino e Santi” (1491) e l'“Annunciazione”(1501) di Luca Signorelli. Il pezzo forte della collezione, tuttavia, è la “Deposizione dalla Croce” di Rosso Fiorentino, dai colori vivaci e dipinta originariamente, nel 1521, per la Cappella della Croce di San Francesco.

Uscendo brevemente dalle mura medievali, si incontrano le rovine del teatro romano (I secolo), donato dal ricco cittadino Caecina e da suo figlio. I materiali per l'edificio provengono dai dintorni di Volterra: arenaria per le pareti, tufo per i sedili, lava per le scale. Nella seconda metà del III secolo, il teatro servì da cava per la costruzione delle vicine terme. Infine, una visita la merita anche il Museo Etrusco Guarnacci, uno dei più importanti musei etruschi d'Italia: deve la sua esistenza all’ecclesiastico Mario Guarnacci (1701-1785), che lasciò in eredità alla città la sua collezione, con 600 urne cinerarie etrusche (ciste), per lo più risalenti al IV-I secolo a.C, con motivi in rilievo che spaziano da scene di caccia, combattimenti e sepolture all'addio del defunto ai suoi cari e al suo viaggio nell'aldilà – che, secondo le credenze etrusche, era dominato da temibili demoni – fino a scene tratte dalla mitologia greca. L’Urna degli Sposi è particolarmente degna di nota per l'espressività dei volti degli sposi al banchetto (pur senza raggiungere l’intensità del Sarcofago degli sposi conservato a Roma, nel Museo di Villa Giulia). Il pezzo più importante tra le stele di bronzo è la statua di un giovane della fine del III secolo a.C., chiamata “Ombra della sera”, che sembra essere un'opera del XX secolo. 

Non possiamo concludere la descrizione di Volterra senza citare il film Vaghe stelle dell’Orsa di Luchino Visconti (1965), che il grande regista milanese decise di ambientare nella cittadina toscana, sfruttando ambienti come San Giusto, la Porta all’Arco, Le Balze, il Museo Etrusco, Palazzo Inghirami, il Palazzo dei Priori e la Cisterna romana. 

Le riprese si svolsero però soprattutto negli interni di Palazzo Viti, che oggi ospita un prezioso museo le cui collezioni comprendono pregiati esempi d’arte italiana, europea e orientale dal 1400 al 1900. Visconti apprezzò in particolare la facciata della storica residenza, progettata alla fine del XVI secolo da uno dei principali esponenti dell’architettura manierista italiana, il fiorentino Bartolomeo Ammannati, allievo ideale di Michelangelo. La ricchezza e la grandiosità dei bugnati che caratterizzano il prospetto principale dell’edificio anticipano la complessità delle invenzioni barocche, senza però rinunciare alla plasticità armoniosa del Rinascimento italiano. E il film, splendidamente interpretato da Claudia Cardinale e Jean Sorel, fa riecheggiare e vibrare, nei suoi toni crepuscolari e nel suo malinconico procedere che appena vela una relazione dai tratti incestuosi, tutte le corde etrusche e medievali dell’antica cittadina toscana.
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