Ci sono momenti in cui la realtà non chiede permesso. Non resta fuori dalla finzione, non aspetta che il copione finisca. La realtà, a volte, si impone nel mezzo di una scena scritta, girata, diretta con cura. È successo con "È come sembra", il nuovo spot della Fondazione Una Nessuna Centomila, girato da Anna Foglietta e destinato ad aprire ogni concerto estivo dei big della musica italiana. Non uno spot pubblicitario qualunque, ma un breve film che non vuole vendere, vuole ricordare. Non vuole abbellire, vuole denunciare.
"È come sembra": lo spot di Anna Foglietta è un urlo collettivo che rompe il silenzio
Durante le riprese, tra la folla del Primo Maggio a Roma, una ragazza è stata molestata per davvero. Proprio mentre si stava girando una scena che metteva in scena – si pensava – una molestia finta. Ma non c’era finzione sufficiente a nascondere la verità: quella scena era già vera. Non serviva farla accadere. Accadeva comunque, davanti alla camera accesa, come accade ovunque, ogni giorno, senza testimoni. Senza regia.
Un gesto semplice che racconta tutto
Il cortometraggio ha una struttura scarna. Essenziale. Pochi dialoghi, volti conosciuti ma senza protagonismi, immagini che si muovono tra un autobus, una strada, una piazza. Una ragazza racconta: “Non è la prima volta che succede.” E un ragazzo risponde: “A me non è mai successo.” Tutto sta lì, in quelle due frasi. Nel disequilibrio di esperienze. Nella quotidianità del terrore da una parte e nell’assenza totale di quella paura dall’altra. È un linguaggio che le donne conoscono da sempre e che gli uomini, troppo spesso, non imparano mai.
Lo spot si intitola È come sembra, ma poteva intitolarsi anche È così da sempre. È un film che smette di fingere e inizia a raccontare. Mostra la violenza nel suo volto più subdolo: quello che si traveste da normalità. E in questo, forse, è il più politico dei linguaggi. Non urla, ma costringe ad ascoltare. Non spettacolarizza, ma svela. E questo basta a far tremare chi ancora pensa che la violenza di genere sia l’eccezione, non la regola.
Un palco, un megafono, un atto di verità
Il progetto nasce dalla volontà di usare i grandi eventi musicali come spazi di ascolto. Non solo per la musica, ma per le parole che contano. Perché prima dei riflettori e delle canzoni, c’è la vita. Prima dell’applauso, c’è il corpo. Il corpo delle donne, che ogni giorno deve attraversare la città come fosse una zona di guerra.
A salire sullo schermo ci sono attrici come Michela Cescon, Cristina Donadio, Maria Chiara Giannetta, Vittoria Puccini. Ma non recitano. Offrono il proprio volto a una memoria collettiva. A un’esperienza diffusa. Il coro finale, “Adesso basta!”, non è una battuta. È un grido condiviso. È la linea che si vuole tracciare tra il prima e il dopo. Tra il subire in silenzio e il pretendere di essere ascoltate. Lo spot non chiede empatia. Chiede responsabilità. E rispetto.
Il consenso non si negozia
Fiorella Mannoia, presidente onoraria della fondazione, lo ha detto con la chiarezza che serve quando si parla di diritti: “Quando una donna dice no, è no.” Non c’è spazio per le interpretazioni. Non c’è ambiguità. Eppure, il bisogno di ribadirlo con uno spot dimostra quanto sia ancora fragile questa verità. Quante volte è stata fraintesa, ignorata, ridicolizzata. Quante volte ci si è chiesti come era vestita, se era sola, se aveva detto sì prima.
Il video vuole essere un promemoria. Una dichiarazione pubblica. Una campagna di educazione affettiva e sociale in formato cinema. Ma anche un atto di resistenza, in un tempo in cui i corpi delle donne continuano a essere trattati come spazio disponibile, come territorio conquistabile. Il consenso non è un dettaglio. È il fondamento di ogni relazione libera. Di ogni convivenza civile.
Quando lo schermo si fa specchio
Proiettato prima dei concerti, lo spot diventa una sorta di rito laico. Un momento in cui la narrazione si impone alla distrazione. Una fenditura nel tempo del divertimento, che impone una domanda. Chi siamo quando vediamo una molestia e voltiamo lo sguardo? Chi siamo quando giustifichiamo, quando riduciamo, quando minimizziamo?
È come sembra non è uno spot emotivo. È un atto narrativo. Un cortometraggio che smonta la retorica dell’eccezione e mostra la violenza come dato strutturale. Come parte di una grammatica che va disimparata. E insegna un’altra lingua, fatta di rispetto, consenso, coraggio.
Una rivoluzione che comincia da qui
Le parole non bastano, è vero. Ma servono. Servono a nominare, a riconoscere, a restituire senso e responsabilità. Ogni parola è un seme. Ogni immagine è una prova. Ogni storia raccontata è un pezzo di silenzio che viene rotto. Lo spot diretto da Anna Foglietta – che non è solo un’attrice ma una voce pubblica lucida, tenace, politica – entra in questo solco con delicatezza e fermezza.
Ci sono battaglie che si combattono con la legge, altre con la cultura. Questa le attraversa entrambe. E allora sì, è proprio come sembra.
Solo che stavolta, a raccontarlo, non è una vittima inascoltata.
Ma un coro.
Un pubblico.
Un palco che si accende prima ancora che la musica inizi.