Il ghiaccio invernale dell’Antartide si è fermato a 17,81 milioni di chilometri quadrati. È il terzo livello più basso da quando, quasi mezzo secolo fa, i satelliti hanno iniziato a misurarlo. Era il 17 settembre quando la superficie ghiacciata ha raggiunto il massimo stagionale. Poi ha cominciato a ritirarsi, come sempre accade con la primavera australe. Ma mai così poco ghiaccio aveva protetto il continente bianco se si esclude il 2023 e il 2024.
Antartide, il ghiaccio ai minimi: un altro segnale che non possiamo ignorare
Dietro questo numero c’è un cambiamento profondo. Fino a pochi anni fa il ghiaccio antartico cresceva lentamente, un po’ a sorpresa rispetto al trend dell’Artico. Nel 2016 si parlava ancora di un fragile equilibrio. Oggi, invece, la tendenza si è invertita. “Il calore degli oceani si sta mescolando con le acque più vicine all’Antartide – dice Ted Scambos, del National Snow and Ice Data Center di Boulder –. Il cambiamento climatico ha raggiunto anche qui i mari ghiacciati”.
Il calore che sale dal mare
La banchisa che ogni inverno si forma attorno al Polo Sud non è un dettaglio marginale. Agisce come uno scudo: riflette la luce del sole e limita l’assorbimento di calore da parte dell’oceano. Meno ghiaccio significa più calore intrappolato, più scioglimento e un circolo vizioso che accelera la crisi.
Per anni la lontananza e l’isolamento dell’Antartide l’avevano protetta. Ora però l’oceano meridionale è sempre più caldo. Il ghiaccio stagionale fatica a crescere e le piattaforme glaciali, che poggiano sulla terraferma, restano più esposte alle correnti calde: un fattore che, se prosegue, potrà incidere sul livello dei mari di tutto il pianeta.
Gli effetti a catena
La banchisa non è solo un dato climatico. È un habitat. Pinguini, foche, krill dipendono dal ghiaccio per riprodursi o nutrirsi. La sua riduzione rischia di modificare catene alimentari ed ecosistemi interi.
C’è poi la dimensione economica e sociale: i cambiamenti nel ghiaccio e nelle correnti polari possono influenzare le rotte della pesca, il regime delle piogge e dei venti a migliaia di chilometri di distanza, anche in Europa. Significa coltivazioni in crisi, infrastrutture più vulnerabili agli eventi estremi, comunità costrette a rincorrere emergenze sempre più frequenti.
Un indicatore globale
L’Antartide per decenni è rimasta lontana dal dibattito pubblico, quasi fuori dal tempo. Ora diventa un campanello d’allarme. Se un continente di ghiaccio, fino a pochi anni fa relativamente stabile, comincia a cedere, vuol dire che la macchina del clima globale sta cambiando in modo strutturale.
I dati del NSIDC arrivano alla vigilia di nuovi negoziati internazionali. Non sono solo numeri in un report: mostrano che il tempo per contenere il riscaldamento globale si sta restringendo. Gli scienziati lo ripetono: ridurre le emissioni non è più una scelta, ma una necessità per rallentare il riscaldamento degli oceani e proteggere i ghiacci polari.
Il conto che si avvicina
Il ghiaccio dell’Antartide non fa salire direttamente il mare quando si scioglie: galleggia sull’acqua. Ma protegge le piattaforme glaciali che, se erose, liberano ghiaccio continentale in mare e contribuiscono all’innalzamento. È una barriera che si assottiglia.
Il suo arretramento è il segnale che la crisi climatica non è più un’ipotesi futura. È già qui. E mentre la politica mondiale discute di target e strategie, la natura corre più veloce, lasciando dietro di sé indicatori sempre più chiari. L’Antartide, per lungo tempo osservata come un laboratorio distante, diventa oggi una sentinella che misura la febbre del pianeta.